Mi è capitato sotto mano in questi giorni di festa il libro ” I presepi nella tradizione piemontese” edito da Priuli e Verlucca e ho scoperto molte cose interessanti riferite ai presepi popolari e in particolare alla tradizione piemontese. Vi consiglio vivamente di leggerlo é ricco di notizie e di spunti curiosi. Per intanto Vi parlerò di alcuni personaggi che mi hanno colpito, perché difficilmente si trovano ancora nei nostri presepi, in quanto si riferiscono a mestieri ormai scomparsi.
Il Brindor (brentatore),  affianca il vignaiolo ed é un personaggio decisamente originale, figura tipica del mercato del vino di Piazza Carlina a Torino, ma presente anche in altre città piemontesi. Ufficialmente regolamentata già dal 1695, assunse notevole importanza nel ‘ 700, con tanto di organizzazione e registro. Il brentatore era un competente assaggiatore, doveva attestare la qualità del vino trattato, consigliarne l’acquisto decretandone il prezzo e provvedeva al trasporto e alla consegna del vino al domicilio dell’acquirente. Indossava una vera e propria divisa: un camice blu, dotato di targhetta di identificazione e portava un bottiglione nel quale gli acquirenti versavano il vino, il pongon, come compenso per il servizio di consegna e di travaso del vino stesso.
L’Asilé (venditore di aceto), un ambulante che una volta si poteva incontrare nei mercati o per le vie della città dotato di un carrettino sul quale trasportava le acetiere contenenti vari tipi di aceto. Meno frequente nelle campagne, dove la produzione dell’aceto si faceva in ogni casa. La grande diffusione dell’aceto era legata all’ampio uso che in Piemonte se ne é sempre fatto, come condimento, per conservare i cibi, per preparare molte salse e i rinomati ” carpioni”. Nel presepe la presenza dell’Asilé vuole ricordare gli ultimi istanti della vita di Cristo, in cui gli fu offerto da bere una spugna imbevuta in acqua e aceto.
L’Acquavitar ( il liquorista) era spesso speziale ed erborista, abilissimo nel preparare bevande a base di china, assenzio, coriandolo, cannella, genziana, bacche di ginepro, chiodi di garofano. Ampia e differenziata era l’offerta di aperitivi e digestivi, spesso venduti appunto nelle farmacie. Molte volte si trattava di produzioni artigianali di vini aromatizzati. Da qui nacque nel 1786 il famoso vermouth, nome che in tedesco significa assenzio, appunto a Torino all’angolo di Via Viotti e piazza Castello a cui seguì una fortunata produzione industriale.
Il Porta giassa ( portatore di ghiaccio). Prima che si scoprisse il modo di produrre il ghiaccio artificiale, si faceva uso del ghiaccio naturale, tagliato direttamente dai ghiacciai delle vallate alpine e trasportato a valle tra mille difficoltà e pericoli, a dorso di muli e slitte. Veniva venduto ai macellai, ai sorbettieri e negli ospedali e a tutti coloro che avevano problemi di conservazione dei cibi freschi. Col tempo, nelle città furono costruite delle vere e proprie ghiacciaie, come quelle che si possono ancora oggi vedere nel parcheggio sotterraneo di piazza Emanuele Filiberto, che un tempo si estendevano sotto tutta Porta Palazzo. Le ghiacciaie venivano riempite di neve, raccolta in città , ben compattata e il ghiaccio così prodotto serviva d’estate a conservare la frutta.
Il Magnin ( calderaio in rame) ha la sua terra d’elezione nell’Alto Canavese e nelle valli dell’Orco e Soana. In quella zona era possibile incontrare tutta la filiera della produzione in rame, dalle miniere, la cui produzione doveva essere integrata con la raccolta di rottami in rame e da una consistente importazione. Il rame veniva fuso, scodellato in appositi fornelli, solidificato e poi battuto al maglio per darne la forma e lo spessore desiderato. Il magnin era l’artigiano itinerante che vendeva i suoi oggetti in rame, riparava i vecchi recipienti, anche in latta e girava di paese in paese.
Il Brustiaire dla cauna ( il pettinatore di canapa) Nel dopoguerra con la diffusione del cotone, la canapa andò scomparendo. Peccato perché questa attività piuttosto diffusa a livello nazionale e anche nel Canavese contribuiva ad alimentare un importante settore artigianale e dava sostentamento a numerose famiglie. Anche se prodotta in piccole quantità permetteva di disporre di tela per realizzare la biancheria della casa, anche capi di abbigliamento. Si seminava a spaglio (semi molto vicini) nei mesi di aprile maggio, su terreni ben concimati, riparati dal vento, possibilmente ombreggiati. Le piantine diventavano molto alte ( 2 metri ca), alla fine di luglio, la pianta maschile e quella femminile erano mature. Venivano tagliate, raccolte e trasportate sull’aia al sole ad essicare qualche giorno. Poi si battevano per ricavarne i semi. I fusti venivano portati a macerare in acqua corrente dai dieci ai venti giorni, quindi si estraevano dall’acqua, si lavavano e si battevano quindi asciugati al sole. Si procedeva alla scortecciatura alla maciullazione al mulino da canapa per ricavarne le fibre. Queste fibre venivano pettinate sbattendole su grandi spazzole dentate, per renderle fini, morbide e allineate, questo era il compito del Brustiaire.
Il Cavié (capellari), provenienti soprattutto dalla Val Maira, Elva per la precisione. La loro era un’attività itinerante e stagionale, svolta nel periodo invernale, per guadagnare un pò di soldi. Le parrucche nell’ 800 erano prodotte con capelli raccolti in Piemonte e questo mestiere aveva raggiunto fama internazionale perché le parrucche prodotte venivano esportate in Francia, in America, in Inghilterra. Il Cavié passava di casa in casa per cercare donne disposte a cedere i loro capelli in cambio di denaro o di un pò di stoffa. Le chiome venivano pesate e pagate un tanto al chilo, in base alla lunghezza, lucentezza, robustezza, e ondulazione….I capelli raccolti portati a casa venivano selezionati a seconda della lunghezza, colore, lucentezza, robustezza, poi pettinati, lavati, orientati nello stesso modo ad uno ad uno e poi utilizzati per il confezionamento delle parrucche.
Spero di avervi incuriosito con questi personaggi. Alla prossima…..
Franca