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I ragazzi del ’99

lunedì 6 Aprile 2015

la grande guerra

Questo é il racconto che si é classificato al terzo posto, al concorso letterario Unitre Moncalieri, al quale alcuni di noi, hanno partecipato:

I ragazzi del ‘ 99

« I giovani soldati della Classe 1899 hanno avuto il battesimo del fuoco. Il loro contegno è stato magnifico e sul fiume che in questo momento sbarra al nemico le vie della Patria, in un superbo contrattacco, unito il loro ardente entusiasmo all’esperienza dei compagni più anziani, hanno trionfato. In quest’ora, suprema di dovere e di onore nella quale le armate con fede salda e cuore sicuro arginano sul fiume e sui monti l’ira nemica, facendo echeggiare quel grido “Viva l’Italia” che è sempre stato squillo di vittoria, io voglio che l’Esercito sappia che i nostri giovani fratelli della Classe 1899 hanno mostrato d’essere degni del retaggio di gloria che su loro discende.

Zona di guerra, 18 novembre 1917 – Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito – Armando Diaz.

Alla lettura del proclama dal balcone del Municipio di Volpiano, da parte del sindaco, di fronte ad una ristretta cerchia di concittadini, si elevarono grida di giubilo e di entusiasmo. Solo Matilde in quel trambusto, si sentì mancare. Fu subito soccorsa dalla madre e riaccompagnata a casa, sotto lo sguardo interrogativo del padre, presente all’evento. Una volta a casa, la ragazza riprese colore e vigore, ma le domande della madre si facevano incalzanti e richiedevano una spiegazione. La giovane tra le lacrime dichiarò di essere incinta di qualche mese e di essere intenzionata a portare avanti la gravidanza, perché il suo bambino era frutto dell’amore che nutriva per Francesco, un amore corrisposto e sincero. Francesco però al momento non sapeva nulla del suo stato, in quanto era partito per il fronte proprio qualche mese prima. Matilde era certa del suo amore e sapeva che al suo ritorno, quando la guerra fosse finita, si sarebbero sposati, perché era ciò che più desideravano. Potete immaginare lo sconcerto della madre di fronte a quella dichiarazione, visto che non aveva mai approvato quell’unione sin dagli inizi ed inoltre non sapeva come affrontare il marito, fermo nelle sue convinzioni, sapendo che mai e poi mai avrebbe approvato quell’unione. Inoltre era anche preoccupata per i pettegolezzi della gente e per il futuro, ormai compromesso della figlia. La nonna paterna si offerse di rivelare il tutto al figlio e di accogliere presso di sé, a Torino, la nipote alla quale era molto legata. E così fu deciso.
Purtroppo non ci fu ritorno per Francesco perché di lì a poco giunse la notizia della sua morte in trincea. Le pressioni su Matilde, da parte della famiglia, si intensificarono: volevano che abbandonasse il bambino appena nato, per poter affrontare il futuro, senza pesi e ostacoli. Avrebbe comunque potuto fare un buon matrimonio, tenuto conto della sua posizione sociale, dell’istruzione ricevuta e della sua giovane età e bellezza. Matilde non volle sentire ragioni, sprofondata nel suo dolore per la perdita del suo giovane amore, con l’appoggio affettivo ed economico della nonna, portò a termine la gravidanza, partorendo nel maggio successivo, 1918, una bella bambina, a cui fu dato nome Maria Cristina. Non ritornò più a Volpiano.
Nello stesso anno, a novembre, finì la guerra, segnando il ritorno a casa dei soldati. Anche Pietro, l’amico fraterno di Francesco, rientrò in paese e fu messo al corrente di quanto era accaduto a Matilde, anch’essa sua amica. Non si sentì però di affrontarla, di spiegarle come Francesco fosse morto tra le sue braccia, pronunciando il suo nome; quei ricordi facevano troppo male, preferiva ricordare l’amico nei momenti felici della loro giovinezza, in quella età spensierata che avevano condiviso con Matilde, sin da ragazzini.
Pietro e Francesco, infatti, erano come fratelli, cresciuti insieme, vicini di casa, classe 1898 Pietro e 1899 Francesco, avevano condiviso le stesse amicizie, la scuola, le stesse avventure, si erano impegnati nelle stesse attività. Le rispettive famiglie contadine abitavano in una grande corte, nel centro del paese. Erano una grande famiglia, si conoscevano tutti, anche perché le principali attività venivano svolte davanti a casa: chi faceva il maniscalco, chi il fabbro, chi il sellaio, chi il falegname. Esisteva vera amicizia e solidarietà tra le famiglie. Le donne più anziane si occupavano dei bambini, mentre le giovani si recavano nei campi a lavorare. Se qualcuno stava male ed era solo, a turno ci si occupava di lui, portandogli da mangiare e rassettandogli la casa.
I nostri ragazzi erano cresciuti così, in questo contesto anche se erano molto diversi tra di loro, ma forse per questo erano inseparabili. Pietro era riflessivo, gran lavoratore, propenso più ad ascoltare che a parlare, profondamente rispettoso e timido, scuro di carnagione, non appariva particolarmente forte, anche se godeva di buona salute. Francesco, l’esatto contrario: bello, il ritratto della salute, con un sorriso smagliante e contagioso, simpatico da morire, molto intelligente, una parlantina eccezionale, ma altrettanto sbruffone e incline a cacciarsi nei guai. Molte volte Pietro l’aveva aiutato a togliersi d’impiccio, visto che vegliava su di lui, come un fratello.
Entrambi si erano innamorati della stessa ragazza: Matilde, figlia della loro maestra e coetanea di Francesco. Bella da lasciare senza parole, bionda, capelli ricci, occhi azzurri, intelligenza brillante e personalità spiccata, aveva studiato in collegio, ma le vacanze estive le aveva sempre passate in paese, la sua famiglia si aspettava grandi cose per il suo futuro.
Matilde aveva capito ben presto la simpatia che entrambi i ragazzi nutrivano per lei e proprio in funzione dell’amicizia che li legava, da quando erano bambini, non tardò ad esprimersi e scelse Francesco come fidanzato , ascoltando il suo cuore; sicura che Pietro, col tempo avrebbe conosciuto una brava ragazza, giusta per lui. Di lì in avanti Matilde e Francesco avevano pensato a vivere la loro storia d’amore, incuranti della guerra in corso, degli ostacoli derivanti dai loro diversi ceti sociali, dei divieti provenienti dalla famiglia di lei. Cercavano solo di passare più tempo possibile insieme.
Pietro nel frattempo era partito per il fronte nel 1916, si erano salutati con Francesco, con un forte abbraccio, che esprimeva tutta la loro amicizia, trattenendo le lacrime per rendere il loro distacco meno doloroso. Anche Matilde l’aveva salutato, augurandogli buona fortuna; avrebbe pregato per lui e gli fece promettere di occuparsi di Francesco, se mai fosse stato chiamato anch’esso alle armi e destinato al suo stesso reggimento.
Intanto i mesi passavano, giunse così l’estate del ’17, la guerra incombeva, anche se combattuta lontano dal loro paese; le notizie che arrivavano dal fronte non erano per niente rassicuranti, ma la voglia di stare insieme di Francesco e Matilde, di incontrarsi ogni giorno, di godersi la loro gioventù, la bellezza di lei, il gran desiderio di entrambi, fecero sì che i ragazzi vivessero appieno il loro amore, donandosi l’un l’altra con slancio ed innocenza, promettendosi amore eterno.
Di lì a poco successe tutto quanto, inconsciamente avevano previsto: Francesco, abile e arruolato fu inviato sul Piave, nel settembre del ’17, raggiungendo l’amico Pietro, stesso contingente. Francesco arrivò al fronte con lo stesso impeto di quel fiume che avrebbe dovuto difendere, con passo poco marziale forse, ma con tanto entusiasmo e generosità, tipico di quella età e del suo carattere.
Purtroppo nel novembre del ’17, vuoi il rapido addestramento, vuoi l’incoscienza dell’età, vuoi il destino crudele, Francesco perì a Fossalta di Piave, insieme ad altri suoi compagni, vittima di una granata nemica. Pietro da quando era arrivato non l’aveva perso di vista un attimo, gli aveva insegnato tutto quello che aveva imparato e gli raccomandava continuamente prudenza. In quell’occasione era stato assoldato per un’ incursione nelle linee nemiche e aveva lasciato l’amico al riparo. Al suo ritorno la tragica scoperta: la trincea distrutta, molti compagni morti e feriti. Francesco era ancora vivo, ma colpito irrimediabilmente al petto da una scheggia, aveva incontrato gli occhi dell’amico per un’ultima volta, quasi a scusarsi di non essere riuscito a salvare la pelle e poi aveva accennato ad una canzone che cantava spesso:
” Novantanove, m’han chiamato…. date un bacio alla mia mamma, a Matilde e alla bandiera tricolor…..” ed era spirato tra le sue braccia. Pietro era sconvolto, impietrito, continuava a scuotere il corpo senza vita dell’amico, incapace di accettare una morte così assurda ed inutile.
Terminata la guerra Pietro fece ritorno a casa, ma i suoi vent’anni erano spariti, li aveva lasciati al fronte, assieme ai corpi martoriati e trafitti di tanti giovani che avevano perso la vita in modo così crudele; tante vite e destini spezzati, portati via per sempre. La morte dell’amico che riviveva ad ogni istante , notte e giorno, lo angosciava profondamente. Ogni giorno, nel cortile di casa, incrociava lo sguardo della madre di Francesco, che sembrava chiedergli perché lui era tornato e suo figlio no. Non resistendo più a tanto dolore, decise di lasciare il paese e di trasferirsi in città; in fondo possedeva un mestiere: il falegname, ma era pronto a fare qualsiasi lavoro. Trasferitosi in città trovò un posto come operaio presso la regia manifattura tabacchi, in un borgo operaio e anno dopo anno riuscì a placare gli incubi notturni e i sensi di colpa che lo perseguitavano. Non viveva, si lasciava vivere.
Fu per caso che incrociò Matilde, con la sua bambina, all’uscita del cimitero monumentale a Torino, dove si era recata per portare un fiore sulla tomba di suo padre, morto da poco. Entrambi erano profondamente cambiati. Nonostante la tristezza che appariva evidente sul volto di Matilde, la sua bellezza era ancora intatta. La bambina, poi era il ritratto di Francesco, stessi occhi, stessi capelli, stessa simpatia dirompente. Fu la bambina a rompere gli indugi e ad invitarlo a prendere una cioccolata da loro e a sentirla suonare il piano la domenica successiva, fornendogli l’indirizzo e le indicazioni per arrivarci. Pietro non si presentò quella domenica a casa di Matilde, nonostante le promesse fatte a Maria Cristina, non lo ritenne opportuno, in cuor suo non si era ancora perdonato, anche se il desiderio di rivedere Matilde e la sua bambina erano forti. Passarono ancora altri anni e le vite dei due scorrevano su binari distanti. Pietro, capace e affidabile nel suo nuovo lavoro, aveva presto ottenuto un posto di responsabilità all’interno della manifattura, si era applicato anche nello studio, diventando responsabile di un gruppo di lavoro.
Matilde era diventata maestra, come la mamma ed insegnava a Torino, vicino a casa. Dal centro venne poi trasferita in una scuola di periferia, la Cesare Abba di recente apertura, con un’utenza di bambini provenienti da famiglie operaie, nel quartiere Regio Parco. Fu qui che avvenne il loro secondo incontro: amichevole, ricco di commozione, entrambi parlarono del loro lavoro; Pietro si scusò per il mancato appuntamento di qualche anno prima e chiese notizie di Maria Cristina, non parlarono di Francesco; ma misero le basi per un successivo incontro. E qui si perdono le tracce dei nostri due amici, ma c’e’ un epilogo in questa vicenda che mi ha fornito mia madre, sapendo che mi stavo occupando di questa storia. Durante una visita al cimitero di Volpiano, mentre facevamo un saluto ai nostri cari, mamma mi segnalò una cappella familiare piuttosto vecchia, elegante, portava una scritta: Famiglia Ferraro e all’interno incuriosita, ho trovato sulle lapidi questi nomi: Pietro Ferraro, cavaliere del lavoro, morto nel 1950 a Torino; Matilde Ricca in Ferraro, morta nel 1963 a Volpiano; Francesco Ferraro nato nel 1930, morto nel 1986 a Volpiano; Maria Cristina Ferraro, nata a Volpiano nel 1918 e morta a Torino nel 1990. Appresi così il lieto fine della storia: quindi Pietro e Matilde, alla fine si sposarono ed ebbero un figlio, che chiamarono Francesco, in ricordo del loro amico e amore. Anche Maria Cristina ottenne il cognome di Pietro, pur avendo avuto come padre Francesco. Osservai con attenzione le foto, seppur sbiadite, sulle lapidi, cercando di scorgere nostalgia, rimpianto, ma dai loro sguardi traspariva solo serenità e pace. Più avanti in un’altra lapide, in direzione della prima cappella, mia madre mi indicò la foto di un ragazzo: bello, sguardo fiero, vestito da soldato, morto nel novembre del 1917 a Fossalta di Piave: era la tomba di Francesco Bertino, parente di mio nonno, che da lontano vegliava sui suoi cari. Con il ritrovamento di queste immagini avevo dato un volto ai protagonisti di una vicenda familiare, particolarmente toccante che mia madre mi ha raccontato più volte negli anni.

Franca Furbatto

Un abbraccio di guerra – Francesco Giordana

sabato 14 Marzo 2015

guerra ambulanza

Un abbraccio di guerra   ( secondo premio al concorso letterario Unitre a Moncaliei)

La luce del giorno fece irruzione nella camera attraverso le tapparelle.Il sole,che si era negato per lunghi giorni, si annunciò prepotente sul viso di Franco, ancora alle prese con l’ultimo sogno della mattina. Si, spesso l’ultimo quarto d’ora del mattino, prima del risveglio, era portatore di sogni, leggeri, ingarbugliati, a volte piacevoli, a volte angoscianti.
Ora stava passeggiando lungo un pianoro di montagna, il sole era alto e il cielo limpido era completamente senza nuvole. Nei prati era esplosa la primavera, con il verde dei prati, con il colore e il profumo dei fiori. Quel profumo, gradevole e aggressivo ad un tempo, lo rese piacevolmente euforico e si sentì leggero e libero. Così leggero che cominciò a volare e si librò nell’aria, su, su verso la montagna, che aveva ancora la cima coperta di neve. In alto, sempre più in alto, fino a contemplare tutto l’altopiano, attraversato da un torrente gorgogliante.
Ma dove era? Non ricordava di aver mai visto quei luoghi, eppure era come se li conoscesse da sempre. Sapeva che laggiù, verso la pianura, c’era una chiesetta bianca col tetto in pietra, che a destra si apriva un canalone che i pini cercavano invano di conquistare, aggredendo le pietre e i massi del fondo, che in alto, verso la cima che dominava il paesaggio c’era una collinetta ricoperta di rododendri. Si trattava certamente di un altopiano delle Alpi Orientali, ma Franco non ricordava di essere mai passato in quei luoghi…Poi guardò in alto, un raggio di sole lo colpì negli occhi…e si svegliò nel suo letto. Scostò il capo, guardò la sveglia sul comodino ed ebbe la conferma di trovarsi nel suo comodo letto alle otto del mattino!
“Bene!” disse tra sé “finalmente una bella giornata di sole. Oggi voglio proprio sgranchirmi le gambe con una lunga passeggiata in campagna.” Da quando gli impegni lavorativi avevano lasciato il posto al riposo di una meritata pensione, Franco riempiva il suo tempo libero con due attività ludiche, che davano un senso alle sue giornate: la pittura e le lunghe passeggiate, a volte a piedi, a volte sulla sua Triumph Spitfire del 1978.
“Oggi è proprio la giornata giusta per fare uscire dal garage la spider” si disse convinto “voglio respirare a pieni polmoni la prima aria tiepida della primavera”.
Era di ottimo umore e mentre faceva colazione con Maria, la moglie, ricordò i propositi più volte fatti e poi puntualmente disattesi: appena torna il sereno voglio andare in campagna, nella vecchia casa dei nonni. Franco, infatti, era nato in una villetta in campagna, dove abitavano i genitori e la nonna paterna. Lì aveva trascorso i primi anni di vita e poi i suoi genitori si era trasferiti in città, dove aveva sempre vissuto. La casa era stata venduta, ma suo padre si era riservato una piccola mansarda, dove di tanto in tanto amava trascorrere qualche giorno di relax.
Quanti ricordi erano custoditi in quei piccoli locali! In particolare, lo attraeva una grossa cassapanca in noce nella quale erano raccolti i ricordi della vita della famiglia Giardina, del papà Paolo e del nonno Luigi.
Rinfrancato dall’abbondante colazione e da una doccia corroborante, dopo aver salutato Maria che era uscita per andare dal parrucchiere, era sceso in garage ed era salito sulla Spitfire con direzione “campagna”, accompagnato dal cinguettio delle rondini che avevano nidificato proprio nel sottotetto del suo appartamento al settimo piano. Pochi minuti di strada, col vento tra i capelli ed ecco apparire la stradina che conduceva alla sua vecchia, cara, casa. La imboccò senza esitazione, svoltò alla sua destra e si trovò di fronte al cancello verde che immetteva nel cortile principale. Salì al secondo piano, entrò nella mansarda e spalancò le finestre.
Il sole illuminò un locale ordinato, raccolto e confortevole: una piccola” casa delle bambole”, come amava definirla Maria, sempre pronta ad accogliere chi fosse alla ricerca di pace e serenità. Franco scostò la fodera bianca che copriva il divano, si sedette e guardò la cassapanca di fronte a lui. Le grosse borchie di ottone poste a protezione degli spigoli e la grande serratura con la chiave inserita nella toppa trasmettevano un senso di solidità: era un oggetto costruito per durare e per contenere i ricordi e le tracce importanti della vita dei proprietari. Sulla parte anteriore, subito sopra la serratura, campeggiava una data incisa nel legno: 1916 .Si accostò alla cassapanca, girò la chiave e sollevò il pesante coperchio. All’interno, ben allineati e ordinati secondo le dimensioni e la forma, una quantità di oggetti faceva corona ad uno scrigno metallico sormontato da una grossa croce rossa in campo bianco. Sulla parte anteriore, vicino alla serratura, era inciso un nome: Ten. Carlo Giardina.
Franco prese lo scrigno, richiuse la cassapanca, si sedette sul divano e guardò con curiosità il “tesoro” ritrovato. Non ricordava di averlo mai visto, ma in effetti non ricordava neppure quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che era entrato nella mansarda.
Sollevò il coperchio e vide che conteneva un plico di lettere, un paio di buste con le evidenti intestazioni del Ministero della Guerra, un quaderno rilegato e un contenitore di vetro che lasciava trasparire il contenuto: due medaglie opache con i rispettivi nastrini multicolori.
Prese il quaderno e lo osservò. Aveva un formato ridotto, quasi tascabile, i bordi consunti facevano intuire un uso frequente e il ripetuto inserimento in un contenitore rigido. Sulla copertina due date: 1915-1916.
Franco lo aprì e lesse sulla prima pagina, vergate con inchiostro rosso, le parole: Diario di Guerra.
Nelle pagine seguenti, scritte con una grafia minuta e chiarissima, le date, i pensieri, le sensazioni e le cronache del vissuto in guerra del tenente medico Carlo Giardina.
Dal richiamo alle armi, nei primi giorni di maggio, alla partenza da Torino, nelle settimane successive, all’arrivo nell’ospedale di Asiago, nel mese di giugno.
E poi i lunghi, terribili giorni di guerra, col racconto puntuale della sua opera di medico in prima linea, con i particolari e le descrizioni degli interventi, a volte condotti con successo, spesso inutili per salvare la vita di tanti ragazzi.
Una data colpì in modo particolare Franco, che si fermò a leggere: 25 dicembre 1915, Natale del Signore.
“Oggi è avvenuto un fatto sorprendente e inatteso, quasi un miracolo – lesse – dalle trincee nemiche uscì un uomo che sventolava una bandiera bianca. Tutti i fanti accorsero sul bordo della trincea, uno uscì e gli andò incontro nella terra di nessuno. Dopo poco tornò e disse che in occasione del Natale era stata decisa una tregua ai combattimenti. Così, il giorno di Natale trascorse in pace, con scambio di doni e di auguri! Un vero miracolo di guerra! E la meraviglia più grande fu quando tra la truppa nemica scorsi un ufficiale che mi guardava con insistenza e che venne verso di me gridando: “Carlo, sei proprio tu?”
Si trattava dell’amico, nonché compagno di corso all’Università, Peter Jung! Ci abbracciammo e trascorremmo lunghe ore a ricordare i tempi felici trascorsi insieme a Torino. Poi la tregua finì e rientrammo nelle rispettive trincee…”
Le pagine del diario si susseguivano poi nella puntuale descrizione delle giornate successive, segnate da accesi combattimenti e da tanti, troppi giovani strappati alla vita.
Il diario si concludeva con la data 14 maggio 1916 e con le parole: “Giornata di primavera sull’altopiano. Corrono voci che ci sarà un attacco nemico.”
Le pagine successive erano bianche…
Franco ripose il quaderno nel cofanetto. Incuriosito, prese poi la busta che chiudeva il plico, l’aprì, sfilò il foglio ingiallito e lesse.

Al Signor Luigi Giardina
Via Lejnì 2
Frazione Malanghero
San Maurizio Canavese (TO)

Egregio Signore,
mi riesce quanto mai gravoso scrivere questa lettera, che mai avrei voluto inviarle. Solo la mia coscienza e la promessa fatta a suo tempo a suo fratello Carlo mi hanno indotto al triste compito.
E’ mio dovere, infatti, comunicarle che il tenente Carlo Giardina ha lasciato il suo valore e la sua vita sulle rocce insanguinate dell’altopiano di Asiago il 15 maggio u.s.
Forse avrà già ricevuto la notizia da altre fonti e il solerte Ministero della Guerra avrà già provveduto ad informarla con grigio tono di circostanza formale dell’accaduto, ma io sento il dovere di scriverle per comunicarle alcune informazioni che ritengo di fondamentale importanza vengano a sua conoscenza.
Non serviranno forse a lenire il dolore per la perdita di un fratello, ma io credo possano contribuire a farle accettare meglio la di lui triste sorte e a conservarne la memoria con motivato orgoglio.
Il giorno 15 maggio u.s. il tenente medico Carlo Giardina si trovava nelle trincee della prima linea per coordinare i soccorsi ai numerosi feriti provocati dall’offensiva nemica, che dalla notte precedente aveva sferrato un violentissimo attacco nell’intento di fare breccia nella nostra fronte e di dilagare nella pianura veneta.
In una breve pausa dei combattimenti, i portaferiti e gli infermieri coordinati dal tenente Giardina avevano raccolto e riportato al coperto delle trincee i numerosi feriti caduti nelle prime ore della battaglia e stavano prestando i primi soccorsi.
Ad un tratto, venne udito un lamento proveniente dalla terra di nessuno e il tenente Giardina lasciò il sicuro riparo della trincea ed uscì all’aperto per individuare il ferito che invocava soccorso. Si avventurò sul terreno irto e sconnesso e lo raggiunse. Allora si accorse che l’uomo ricoperto di sangue che gemeva portava un’altra divisa, quella dell’esercito Austro-ungarico!
Ma il tenete Giardina non esitò e prevalse in lui il giuramento di Ippocrate fatto quando abbracciò la professione da lui considerata una missione senza confini.
Aprì la borsa delle medicazioni, estrasse garze, bende e disinfettanti e trasse a sé l’uomo. Solo allora si accorse che si trattava di un suo compagno del corso di medicina frequentato a Torino anni prima.
Si trattava, infatti, del tenente medico Peter Jung, nativo di Salisburgo, ma che aveva frequentato l’Università di medicina di Torino per stare vicino alla madre, originaria di quei luoghi.
L’amicizia dei due giovani si era rafforzata durante gli anni della permanenza comune nella città subalpina, grazie alle avventure goliardiche e alla comunanza degli studi. Erano inseparabili: belli, giovani, pieni di energia e di lealtà. Quando terminarono gli studi, il dottor Peter Jung tornò a Salisburgo per esercitare la professione e la lontananza, dapprima lenita da lunghe lettere, poi divenute sempre più rade, rese il distacco definitivo.
Da lunghi anni Carlo e Peter non avevano avuto alcuna occasione di incontro e anche il ricordo dei gioiosi anni trascorsi insieme era ormai avvolto in un bozzolo generato dalla quotidianità della vita. Il tenente Giardina si prodigò per arrestare l’emorragia, disinfettò e bendò alla meglio le profonde ferite e sollevò l’amico ferito per portarlo al coperto delle trincee. Fu allora che un cecchino colse la sua preda: il secco schiocco di un colpo di fucile e la vita di Carlo volò via, seguita dopo pochi minuti da quella di Peter. Li trovarono abbracciati la mattina seguente e il sangue e le ferite rendevano difficile distinguere il colore delle divise…
Questo era mio dovere comunicarle, Signor Luigi Giardina, perché in tal modo esaudisco il desiderio di sua fratello Carlo, che aveva affidato a me l’ingrato compito di informare la famiglia se fosse caduto sul campo, e rendo onore al valore ed allo spirito di sacrificio alto e puro di un vero medico e di un eroico soldato.
Nella speranza che queste mie righe le possano tornare di conforto, Le porgo i sensi delle mie più sentite condoglianze e la saluto con un forte abbraccio di condivisione.

Asiago, 20 giugno 1916

Mario Rossi
Colonnello medico del Corpo Sanitario dell’Esercito Italiano

Commosso, ripiegò il foglio ingiallito, lo infilò nella busta che lo conteneva e lo ripose nel cofanetto.
Sollevò poi l’astuccio di vetro, lo aprì ed esaminò il contenuto. Si trattava di due medaglie: l’una con l’effige del Re, legata ad un nastro tricolore sul quale era apposto orizzontalmente un gladio in bronzo sulla cui guardia spiccava il motto FERT, intrecciato con un ramoscello d’alloro, l’altra recante su di una facciata una grande croce rossa in campo bianco e sul retro l’incisione: “Esercito Italiano – Corpo Militare CRI – 1916”
Posò le medaglie, prese la busta del Ministero della guerra e lesse le motivazioni per cui era stata concessa l’onorificenza al Tenente Carlo Giardina, di Antonio, nato a San Maurizio Canavese il 17 febbraio 1881 e caduto sull’altopiano di Asiago il 15 maggio 1916: “Noncurante del pericolo dimostrò sempre calma e fermezza esemplari. Uscito tra i primi dalle nostre trincee, sotto il violento fuoco di mitragliatrici nemiche, raggiunse le posizioni avversarie per portare soccorso ai feriti, incoraggiando i compagni a seguire il suo esempio. Mentre si esponeva per riportare al riparo delle trincee un ufficiale gravemente ferito, venne colpito a morte.

Roma, 19 agosto 1917”.

Franco ripose la lettera nel cofanetto, lo chiuse, lo accarezzò con profondo rispetto e ricacciò una lacrima di commozione. Aveva incontrato la storia, quella con la lettera minuscola, quella vera, quella scomoda e giocata sulla pelle dei singoli. La storia che aveva coinvolto anche la sua famiglia.
Allora pensò alla ferocia, alla stupidità e alla sostanziale inutilità delle guerre, di tutte le guerre.
Ma considerò anche come in occasione di una tragedia di così vaste proporzioni, nelle circostanze estreme prodotte dalla guerra, possano emergere luminose manifestazioni dei migliori sentimenti: l’amicizia, l’altruismo e il senso del dovere.
Risalì in macchina e, mentre percorreva lentamente il viale illuminato dal prepotente fiorire degli alberi di Giuda, il suo animo si riempì d’orgoglio e di speranza per il futuro.

 

Samarcanda – Francesco Giordana

martedì 17 Febbraio 2015

Statuto 2        Statuto

Ieri ho ricevuto da un amico un racconto autobiografico con il quale forniva un ricordo personale di quel tragico 13 febbraio 1983, quando a Torino andò a fuoco il cinema “Statuto”, storica sala della città. Nella tragedia perirono 64 persone, un dramma per le famiglie, per la città intera, che si rinchiuse nel dolore accanto ai familiari delle vittime. Il cinema era stato rimesso a nuovo da poco, ottenendo la certificazione per l’agibilità dell’esercizio. Pare che la causa sia stato un cortocircuito, le cui scintille avevano dato fuoco a un tendone, caduto poi sulle poltrone, che erano andate a fuoco, a loro volta. Gli spettatori accortisi dell’incendio avevano tentato di uscire, ma le porte di sicurezza, cinque su sei erano sprangate per impedire l’ingresso dall’esterno. Gli spettatori in sala, un centinaio, avevano cercato la fuga allora dall’ingresso principale, ma purtroppo molti furono soffocati dal fumo: l’ossido di carbonio che si era sprigionato dalla combustione delle poltrone, in poliuretano espanso, usate per l’arredamento. Fu una tragedia, si pensò a un piromane, anche perché nel giro di poco tempo, nel giugno dell’82 andarono a fuoco tre cinema della città : l’Astor, l’Ambrosio e l’Augustus, ipotesi poi smentita. Gli imputati furono undici, sei le condanne per omicidio colposo plurimo: il proprietario del cinema, l’impresa che eseguì i lavori di ristrutturazione, il tappezziere, l’operatore, mentre fu assolto per insufficienza di prove l’elettricista. Il proprietario fu costretto a chiudere e a indennizzare i 250 familiari delle vittime, che si costituirono parte civile, per una cifra pari a tre miliardi di lire. Passò i suoi ultimi anni lavorando come maschera al cinema Romano e trasferendosi poi in Liguria, lontano da Torino.
Molte sono le riflessioni che il racconto ci suggerisce!

Franca Furbatto

Racconto di Francesco Giordana che Vi propongo qui di seguito

SAMARCANDA

“Dopo questa abbondante nevicata é finalmente uscito il sole. Ho proprio voglia di fare una bella sciata in neve fresca! Domenica andiamo a Chamoix”.
Quel plurale “andiamo” includeva Cristina, l’amore e prima ragione della sua vita, con la quale si era sposato appena due mesi prima. Enrico, quarantacinquenne aitante, bello e sportivo, si era conquistato la fama, peraltro assolutamente meritata, di scapolone impenitente, di sciupa femmine. Poi, improvvisamente, sul finire dell’anno appena passato, aveva clamorosamente sconfessato il personaggio costruito negli anni con tanta cura ed aveva sposato Cristina, una ragazza dolce, col viso da fatina del bosco e con la grazia e le movenze di una principessa delle fiabe.
L’evento, accolto con stupore e soddisfazione da parenti e amici, aveva inciso profondamente sul carattere di Enrico e sul suo comportamento, anzi, sul suo intero approccio alla vita.
Così, l’entusiasmo col quale aveva illustrato il programma ludico per la domenica successiva non aveva sorpreso Franco, ben lieto che l’amico solitamente tenebroso e solitario sprizzasse entusiasmo e gioia da tutti i pori.
Quel venerdì pomeriggio Franco ed Enrico si erano dati appuntamento al bar Fiorio di via Po, sia per motivi di lavoro (Franco responsabile della comunicazione di una grande azienda delle Partecipazioni Statali ed Enrico, giornalista della RAI dovevano concordare tempi e modi per una intervista all’Amministratore Delegato…), sia per approfittare dell’insolita e gradita occasione per rivivere insieme il tempo passato.
Franco ed Enrico, infatti, avevano cominciato la loro avventura giornalistica una quindicina di anni prima presso un Gruppo editoriale che realizzava alcuni periodici di portata locale ed avevano a lungo lavorato gomito a gomito sulle stesse pagine.
Poi, la loro storia professionale aveva imboccato strade diverse. Enrico alla RAI e Franco, dopo alcuni anni di attività nel principale quotidiano sportivo della città, era approdato al grande mondo della comunicazione aziendale ed ora, dopo un percorso alquanto tormentato, era il Capo Ufficio Stampa della SEAT, l’azienda delle Pagine Gialle.
“Ti ricordi le piste di Chamoix?” E come potevano dimenticarle? Per Enrico e Franco Chamoix, la località in Valsavaranche non raggiungibile in auto, aveva conservato un valore quasi mitico. D’inverno, poi, la neve che ricopriva un paesaggio fiabesco e incontaminato esaltava il distacco dal resto del mondo.
Mentre Franco, che non era mai stato un grande sciatore, aveva da tempo tradito la montagna col mare della Riviera ligure, spinto anche dalla presenza dei genitori ormai stabilmente residenti a Santo Stefano, Enrico non aveva mai rinunciato alla stagione sciistica invernale. Appena si presentava l’occasione, saltava in macchina e raggiungeva la funivia che portava ai 1800 metri di Chamoix.
“Certo che ricordo quei luoghi e quei tempi, ma sono passati tanti anni e per me Chamoix è ormai solamente una bella cartolina degli anni ‘60. Ora ho famiglia e le mie mete vacanziere sono Bardonecchia per l’inverno, così i figli possono sciare con maggiore tranquillità su piste più facili e accessibili, e Santo Stefano per l’estate.
I programmi del weekend che si prospettava meteorologicamente favorevole erano quindi assolutamente divergenti: Franco in Riviera con la famiglia ed Enrico in Val d’Aosta con Cristina.
Per una mezz’ora si rituffarono nel passato, poi concordarono rapidamente tempi e modi dell’intervista all’Amministratore Delegato e si salutarono con un caloroso abbraccio. Si sarebbero rivisti la settimana seguente negli studi della RAI.
Purtroppo le previsioni del tempo si rivelarono ottimistiche, tanto che il cielo coperto e la temperatura piuttosto rigida per il mese di febbraio non contribuirono a rendere particolarmente gradevole e rilassante il fine settimana in Riviera e già nel tardo pomeriggio della domenica Franco rientrò in città con la famiglia. Giunto in piazza Statuto, dovette fermarsi per lasciar passare numerosi veicoli di soccorso con luce blu lampeggiante, mentre le sirene delle auto della polizia e dei Vigili del fuoco si inseguivano sotto i fiocchi di una lieve nevicata.
Attese con pazienza il via libera dai Vigili Urbani e poi ripartì con direzione casa.
Qui, la voce e le immagini del televisore, sintonizzato sul telegiornale regionale, lo colpirono a causa della drammaticità del racconto.
“Nell’incendio scoppiato nel pomeriggio al cinema Statuto si contano ormai decine di vittime. I soccorsi, pure intervenuti sul posto dopo pochi minuti, sono stati frenati dal fumo acre e velenoso che aveva invaso il locale. Ci riferiscono che nei locali più interni sono stati rinvenuti numerosi corpi inanimati. Una valutazione complessiva della situazione sarà possibile solamente quando i locali saranno stati completamente evacuati.”
E poi il giornalista informava che allo Statuto si stava proiettando il film francese “La capra” con protagonista l’attore Gerard Depardieu.
Le stesse tragiche immagini rimbalzarono poi sui telegiornali nazionali, ogni volta arricchite di nuovi agghiaccianti particolari.
Quel giorno, nel cinema Statuto di via Cibrario si contarono ben 64 vittime, in gran parte soffocate dai miasmi provocati dalla combustione dei materiali plastici usati per il rivestimento delle poltrone e delle pareti.
Quella notte Franco rivide in sogno le tragiche immagini del disastro e gli parve anche di sentire nell’aria l’odore acre della combustione.
Il giorno seguente, San Valentino, raggiunse l’ufficio con un certo ritardo poiché prima era passato dal fioraio di Piazza Adriano per ordinare il mazzo di rose rosse da portare a Maria la sera. Erano da poco passate le nove quando squillò il telefono e la voce bassa e spenta di Bruno, collega giornalista della RAI, lo colpì allo stomaco: “Enrico e Cristina sono morti nell’incendio dello Statuto. Ora li hanno portati all’obitorio. Non si sa ancora quando si faranno i funerali, ma io ora vado a casa dei genitori.”
“Vengo anch’io” riuscì a rispondere, mentre l’emozione provocata dall’annuncio inaspettato gli stringeva la gola “qual è l’indirizzo?”.
A casa dei genitori di Enrico un gruppo numeroso di amici e di colleghi di Enrico cercava in qualche modo di confortare due vecchietti, dimessi, piegati e quasi stroncati dalla violenza della notizia.
Franco non riuscì a trovare la forza d’animo per affrontare direttamente la situazione e si avvicinò a Bruno, che, in un angolo del salotto si sforzava di coordinare la disponibilità degli amici.
Quando si accorse della presenza di Franco, gli si avvicinò e gli passò un braccio sulle spalle.
“Quando si dice il destino! Certo che alle volte è beffardo e crudele. Pensa che, ieri mattina, Enrico e Cristina sono partiti alla volta di Chamoix, decisi a trascorrere la giornata sulle nevi dei duemila metri. Giunti a Corgnolaz, alla base della funivia che collega la strada statale con il villaggio, hanno trovato l’impianto bloccato a causa di un guasto improvviso. Così, nell’impossibilità di salire, hanno deciso di far ritorno a Torino. Si sono invitati a pranzo dai genitori di Enrico e poi, dopo un breve riposino, sono usciti per una passeggiata. In via Cibrario hanno visto le locandine del film La Capra e sono entrati nel cinema…” Si fermò, quasi a riprendersi dall’emozione e cercò gli occhi di Franco.
Tre giorni dopo, ai funerali di Stato ai quali partecipò anche il Presidente Pertini, confuso in una folla tanto numerosa da non poter essere contenuta dalla Piazza del Duomo, Franco ebbe tempo e modo di considerare l’imponderabilità del futuro, mentre non riusciva a scacciare dalla mente le parole della canzone Samarcanda, nella quale, solo pochi anni prima, il cantautore Vecchioni aveva fermato i contenuti del concetto “Destino”.

Ricordo della Signorina Rosalia

lunedì 9 Febbraio 2015

 

    signorina_grosso    signorine

Non essendo nata, né cresciuta a Volpiano, ma essendoci arrivata solo in età adulta e lavorativa, non avevo mai incrociato la Signorina Rosalia.  Qualche anno fa, ormai in pensione la incontrai davanti all’agenzia di Gennari e fu Lei a chiedermi di mia madre, voleva sapere come stava; sapeva chi ero, perché mi disse, avevo lo stesso sorriso di mio padre e mi raccontò di come, entrambi lettori accaniti, si scambiavano libri di avventura. Era riuscita a creare subito quella familiarità che ti invogliava a fermarti per chiacchierare con Lei. In un’altro incontro le avevo parlato di una sua foto che avevo trovato per caso, che la ritraeva giovane, con un’ amica, a Torino , con un’aria spensierata e fu in quella occasione che mi invitò ad andare a trovarla per mostrarmi altre fotografie. Certo ne aveva di storie da raccontare, novant’anni di vita vissuta, testimonianze fervide del nostro paese e della sua gente. Marina Borge ha scritto un bel racconto su di Lei, che mi ha permesso di conoscerla meglio. Mi resta il rimpianto di non aver accettato l’invito, anche se tante volte, passando davanti a casa sua, avrei voluto suonare ed entrare per incontrarla e passare del tempo con Lei, sarebbe stato oltremodo piacevole e prezioso, ma non ho mai osato, perchè non avevo tutta quella confidenza…., anche se sono certa, mi avrebbe ben accolto. Grazie  Signorina comunque per quegli incontri che abbiamo avuto e per tutto quello che ha fatto per i ragazzi di Volpiano e non solo, per tutte le persone che ha conosciuto ed incontrato nel corso della sua lunga vita, che conservano di Lei bellissimi ricordi. Riconoscevi subito in Lei un’intelligenza vivace, una vasta cultura, che non ostentava per niente, la sua allegria traspirava dai suoi occhi brillanti, nonostante l’età. Aveva una visione della vita positiva e una fede incrollabile nei giovani e nelle loro inaspettate risorse. Mi auguro che coloro che le sono stati vicini e i suoi parenti, non disperdano il patrimonio di ricordi e testimonianze che la Signorina ha lasciato dietro di sé, sarebbero preziosi cimeli e pagine della storia di Volpiano, che il paese e la sua gente avrebbe piacere di conservare, di trattenere, quasi a voler impedire alla Signorina di accomiatarsi con la sua eleganza da tutti noi… Riposi in pace, dolcissima Signorina.

 

Franca Furbatto

Corso di comunicazione efficace – Unitre Volpiano

sabato 7 Febbraio 2015

 

“La scrittura creativa nasce dall’applicazione della potenzialità creativa, presente in forme diverse, in tutte le persone e che consente di elaborare soluzioni nuove, inedite, originali, tratte dai vari contesti di vita, nella scrittura. E’ la fissazione di un significato, di un ricordo, di un’esperienza di vita, in una forma durevole. E’ una rappresentazione grafica della lingua parlata. E’ il mezzo più efficace, assieme alla fotografia, per la conservazione e la trasmissione della memoria.”

Come già annunciato stiamo raccogliendo adesioni per la partecipazione ad un corso di scrittura creativa, organizzato dall’Unitre – Volpiano, tenuto dal dott. Giordana Franco, giornalista, docente universitario della comunicazione allo IULM di  Milano, nel mese di marzo le date sono il 5 il 12 il 19 il 26,  ogni settimana, il giorno fissato é il giovedì dalle 15,30 alle 17, sono previsti quattro incontri, due sull’argomento “Parlare in pubblico” e due su “La scrittura creativa”.

Per ulteriori informazioni e adesioni rivolgersi a Margherita Bigano o a Franca Furbatto.

 

Franca Furbatto

AUGURI DI NATALE

sabato 20 Dicembre 2014

presepe

Anche quest’anno la nostra cara EMILIA TESTU’

ci regala una poesia, una preghiera,

con tanti                 AUGURI DI BUON NATALE

_25 DICEMBRE 2014

compleanno di GESU’

Gesu’, sei appena arrivato, e quello che odi,

non sono fuochi d’artificio, per la gioia della tua venuta,

sono fuochi veri, in queste terre, martoriate

da molte guerre.

Alcuni dicono, che questo fuoco

lo fanno nel nome di Dio, sarebbe

come dire, chi bestemmia prega, ma

nel nome di Dio ci si aiuta,

non si uccide!!

Gesu’ non piangere, vicino a Te c’è la tua mamma,

e Giuseppe, che Vi rincuora, di questi scoppi

che spaventano, donandoVi il suo amore protettivo,

in questa umile dimora, di una stalla.

Dopo la visita dei Magi, e poi avvisati

di ripartire per un altra via, e ancora

lo stesso annuncio a Giuseppe.

Perché  Erode voleva uccidere Gesù, e mentre

Maria si stringeva al petto il suo piccolo Gesù,

Giuseppe, mette le ali ai piedi, cosi pure l’asinello,

fuggono in Egitto, diventando profughi, in

terra straniera, intanto che a Betlemme

si odono i pianti delle madri dei bimbi

fatti uccidere dall’ira di Erode.

Questa è ancora storia attuale dopo oltre 2000 anni,

non è una consolazione, questo accostamento di vittime,

dall’odio dei non tolleranti, “gli erodi di turno”.

Gesù, questo doveva essere un giorno di ” giubilo”

per la Tua venuta,  per augurarTi   Buon Compleanno

in questo 25 dicembre 2o14

EMILIA TESTU’

candela1

La luce che illumina il mondo

sia portatrice di pace, serenità e speranza

per tutti i popoli.

 Tanti  Auguri di Buon Natale e Buone Feste

Piera Camoletto

finestra

ven. 21 NOVEMBRE ore 21 nella S. POLIVALENTE a Volpiano: SPETTACOLO TEATRALE ” CABARET” a cura dell’UNITRE DI LEINI’ – INGRESSO LIBERO !!!

venerdì 14 Novembre 2014

Camminando sotto la pioggiateatro unitre 2014 253 (7) (1)Cabaret 3si Comme facette mammeta teatro unitre 2014  227.JPG 5.gif..JPG. (12) (2)gruppo teatro unitre leini (1) (2)

violenza, stalking femminicidio: cosa sono cosa possiamo fare

domenica 12 Ottobre 2014

Visto che nel programma del comune inserito da Margherita c’è scritto “da confermare” vi confermo che venerdì 17 alle 21 ci sarà, presso la Polivalente, una serata con questo tema. Un tema serio, delicato, non facile, né per chi è vittima nè per chi vuole aiutare le vittime. Interverranno persone che da anni si occupano di questi problemi, speriamo di avere la presenza anche di persone che operano a Volpiano. Siete tutti invitati, non è un tema che riguarda SOLO le donne, vi aspettiamo.

 

locandina-

LA NONNA IN CARRIOLA – 4a edizione

giovedì 4 Settembre 2014

Domenica 7  settembre alle ore 15  con partenza da piazza Cavour  fino alla Cappella della Madonna delle Vigne,  ci sarà la corsa di carretti  in salita con a carico “la nonna”                             Preparate il Vostro equipaggio e partecipate, quest’anno Vi aspettano nuovi premi. !!!!!!

Quanto sopra  è inserito nelle manifestazioni del BORGO COLOMBERA   da GIOV. 4 a LUNEDI’ 8 settembre p.v.

Per i dettagli  vedere Manifestazioni di settembre 2014

LA LOCANDA DEI RICORDI ………..

venerdì 29 Agosto 2014

L’UNITRE e il COMUNE DI VOLPIANO  Vi invitano SABATO 13 SETTEMBRE ALLE ORE 21   presso la Sala Polivalente  per una serata

di musica e magia a cura del Circolo della Magia di Torino. – Ingresso gratuito