Una visita agli argenti, esposti a Palazzo Madama dal 16 marzo, rievoca una pagina di storia italiana di alto profilo internazionale, forse, per una gran parte di noi, abbastanza sconosciuta. L’articolo è un po’ lungo, e di questo chiedo scusa, ma vale davvero la pena leggerlo fino in fondo.
Facciamo un passo indietro nel tempo di 150 anni più uno: siamo nel 1861 e questa volta non parliamo dell’Italia, ma degli Stati Uniti d’America. Sì perché mentre in Italia si completava l’unione della Penisola, negli Stati Uniti scoppiava la guerra di secessione tra gli stati del Nord (Unionisti o yankee) e quelli del Sud (Confederati o dixie).
Quale nesso lega i due avvenimenti?
Riavvolgiamo ancora il film della storia fino ad arrivare intorno al 1830: in quegli anni nacquero, negli stati del nord dell’Unione, i primi segnali volti all’abolizione dello schiavismo. Gli stati del nord, infatti, avevano una vocazione industriale e ottime infrastrutture ferroviarie per i trasporti, mentre quelli del sud, aristocratici e militaristi, fondavano la loro economia sulla coltivazione del cotone con manodopera schiavista e sul commercio navale del prodotto.
Queste idee antischiaviste si coagularono nel 1854 con la nascita del Partito Repubblicano che ne adottò la politica: il suo candidato, Abramo Lincoln, il 6 novembre 1860 venne eletto presidente.
La nostra storia comincia proprio l’anno successivo, nel 1861: questa data diventerà molto importante per l’apprezzamento finale dell’intera storia.
Molti revisionisti non sono più totalmente d’accordo sul casus belli, ovvero che il motivo scatenante sia stato solo l’abrogazione dello schiavismo su cui si fondava l’economia del sud e la ricchezza dei proprietari terrieri, tuttavia, allo stato attuale delle conoscenze storiche, si fa risalire proprio a questo fatto la nascita del conflitto.
Elemento cruciale da segnalare in questo contesto è la proclamata neutralità della Gran Bretagna, che, se pure era antischiavista, forse intravedeva nel Nord un emergente attore economico e politico di primo piano. Temendo forse una diminutio del proprio ruolo sullo scacchiere internazionale, parteggiò per i Confederati fornendo loro supporto tattico e logistico nei porti ancora sotto il suo controllo: qui infatti venivano trasformate le navi dei sudisti in vascelli da corsa: una di queste navi corsare si chiamava Alabama.
Com’è noto, vinse il Nord e nel 1865 si pose fine alle ostilità.
Tuttavia gli Stati Uniti reclamarono nei confronti della Gran Bretagna (ufficialmente neutrale, ancora una volta è da sottolineare) soddisfazione dei danni che queste navi corsare, in particolare l’Alabama, avevano loro causato durante il conflitto. La tensione saliva anno dopo anno e uno scenario di guerra era ormai tangibilmente alle porte. Nel 1871 si risolse di affidare la soluzione del lodo ad un tribunale arbitrale composto da cinque giudici: due sarebbero stati nominati rispettivamente dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna,uno per parte, e gli altri tre scelti tra altre potenze internazionali.
Il primo, al quale fu richiesto un giudice, fu il Re Vittorio Emanuele II°! L’Italia non aveva che dieci anni di vita, sicuramente altri Stati sovrani avrebbero potuto avere maggiori chanche per essere scelti, tuttavia tale era il nostro prestigio a livello internazionale: la scelta del re cadde sul conte Federico Sclopis.
Gli altri due membri sarebbero stati forniti dalla Confederazione Elvetica dove si sarebbe insediato il tribunale e cui s’immaginava affidare la presidenza dei lavori, l’altro membro sarebbe stato indicato dall’Imperatore del Brasile.
Alla prima seduta le due parti in causa risolsero, all’unanimità, di affidare la presidenza al conte torinese: ecco quale era la statura internazionale di quell’uomo. L’anno successivo fu votata la sentenza (con la sola astensione – peraltro motivata con grande garbo e profondo rispetto – del membro inglese) che obbligava la Gran Bretagna a risarcire gli Stati dell’Unione con 15 milioni di dollari-oro dell’epoca!
Pur condannati al pagamento di un importo di così grande dimensione finanziaria, anche lo stesso esponente del governo di Sua Maestà britannica, unitamente al mondo politico internazionale, convenne sull’estrema chiarezza, la precisione e il rigore delle argomentazioni apportate.
Gli argenti del servizio Tiffany, opera di Eugène Soligny, esposti a Palazzo Madama, e con questo ritorniamo all’inizio della nostra storia, sono il ringraziamento da parte del Governo degli Stati Uniti all’altissimo profilo del nostro conte Sclopis. Anche la regina Vittoria apprezzò allo stesso modo “la dignità, dottrina, abilità e imparzialità con cui eseguì a Ginevra i suoi ardui incarichi” e donò una fioriera degli argentieri londinesi Garrard, fornitori di corte.
Gli “Alabama Claims” ancora oggi vengono considerati un fondamento nel diritto internazionale orientato alla soluzione giudiziaria delle controversie internazionali, e sono codificati nella Carta dell’Onu. Il favore verso l’arbitrato crebbe progressivamente nel tempo. Dopo una prima costituzione di una Corte permanente di arbitrato, si andò verso l’istituzionalizzazione al più elevato grado, realizzando la Corte internazionale di giustizia. La Corte dell’Aja è anch’essa, in misura rilevante, figlia dell’arbitrato del conte Sclopis.
Questi sono i personaggi che ci devono far andare fieri di essere Italiani.
Luciano Garombo