Archivio della Categoria 'Considerazioni'

Samarcanda – Francesco Giordana

martedì 17 Febbraio 2015

Statuto 2        Statuto

Ieri ho ricevuto da un amico un racconto autobiografico con il quale forniva un ricordo personale di quel tragico 13 febbraio 1983, quando a Torino andò a fuoco il cinema “Statuto”, storica sala della città. Nella tragedia perirono 64 persone, un dramma per le famiglie, per la città intera, che si rinchiuse nel dolore accanto ai familiari delle vittime. Il cinema era stato rimesso a nuovo da poco, ottenendo la certificazione per l’agibilità dell’esercizio. Pare che la causa sia stato un cortocircuito, le cui scintille avevano dato fuoco a un tendone, caduto poi sulle poltrone, che erano andate a fuoco, a loro volta. Gli spettatori accortisi dell’incendio avevano tentato di uscire, ma le porte di sicurezza, cinque su sei erano sprangate per impedire l’ingresso dall’esterno. Gli spettatori in sala, un centinaio, avevano cercato la fuga allora dall’ingresso principale, ma purtroppo molti furono soffocati dal fumo: l’ossido di carbonio che si era sprigionato dalla combustione delle poltrone, in poliuretano espanso, usate per l’arredamento. Fu una tragedia, si pensò a un piromane, anche perché nel giro di poco tempo, nel giugno dell’82 andarono a fuoco tre cinema della città : l’Astor, l’Ambrosio e l’Augustus, ipotesi poi smentita. Gli imputati furono undici, sei le condanne per omicidio colposo plurimo: il proprietario del cinema, l’impresa che eseguì i lavori di ristrutturazione, il tappezziere, l’operatore, mentre fu assolto per insufficienza di prove l’elettricista. Il proprietario fu costretto a chiudere e a indennizzare i 250 familiari delle vittime, che si costituirono parte civile, per una cifra pari a tre miliardi di lire. Passò i suoi ultimi anni lavorando come maschera al cinema Romano e trasferendosi poi in Liguria, lontano da Torino.
Molte sono le riflessioni che il racconto ci suggerisce!

Franca Furbatto

Racconto di Francesco Giordana che Vi propongo qui di seguito

SAMARCANDA

“Dopo questa abbondante nevicata é finalmente uscito il sole. Ho proprio voglia di fare una bella sciata in neve fresca! Domenica andiamo a Chamoix”.
Quel plurale “andiamo” includeva Cristina, l’amore e prima ragione della sua vita, con la quale si era sposato appena due mesi prima. Enrico, quarantacinquenne aitante, bello e sportivo, si era conquistato la fama, peraltro assolutamente meritata, di scapolone impenitente, di sciupa femmine. Poi, improvvisamente, sul finire dell’anno appena passato, aveva clamorosamente sconfessato il personaggio costruito negli anni con tanta cura ed aveva sposato Cristina, una ragazza dolce, col viso da fatina del bosco e con la grazia e le movenze di una principessa delle fiabe.
L’evento, accolto con stupore e soddisfazione da parenti e amici, aveva inciso profondamente sul carattere di Enrico e sul suo comportamento, anzi, sul suo intero approccio alla vita.
Così, l’entusiasmo col quale aveva illustrato il programma ludico per la domenica successiva non aveva sorpreso Franco, ben lieto che l’amico solitamente tenebroso e solitario sprizzasse entusiasmo e gioia da tutti i pori.
Quel venerdì pomeriggio Franco ed Enrico si erano dati appuntamento al bar Fiorio di via Po, sia per motivi di lavoro (Franco responsabile della comunicazione di una grande azienda delle Partecipazioni Statali ed Enrico, giornalista della RAI dovevano concordare tempi e modi per una intervista all’Amministratore Delegato…), sia per approfittare dell’insolita e gradita occasione per rivivere insieme il tempo passato.
Franco ed Enrico, infatti, avevano cominciato la loro avventura giornalistica una quindicina di anni prima presso un Gruppo editoriale che realizzava alcuni periodici di portata locale ed avevano a lungo lavorato gomito a gomito sulle stesse pagine.
Poi, la loro storia professionale aveva imboccato strade diverse. Enrico alla RAI e Franco, dopo alcuni anni di attività nel principale quotidiano sportivo della città, era approdato al grande mondo della comunicazione aziendale ed ora, dopo un percorso alquanto tormentato, era il Capo Ufficio Stampa della SEAT, l’azienda delle Pagine Gialle.
“Ti ricordi le piste di Chamoix?” E come potevano dimenticarle? Per Enrico e Franco Chamoix, la località in Valsavaranche non raggiungibile in auto, aveva conservato un valore quasi mitico. D’inverno, poi, la neve che ricopriva un paesaggio fiabesco e incontaminato esaltava il distacco dal resto del mondo.
Mentre Franco, che non era mai stato un grande sciatore, aveva da tempo tradito la montagna col mare della Riviera ligure, spinto anche dalla presenza dei genitori ormai stabilmente residenti a Santo Stefano, Enrico non aveva mai rinunciato alla stagione sciistica invernale. Appena si presentava l’occasione, saltava in macchina e raggiungeva la funivia che portava ai 1800 metri di Chamoix.
“Certo che ricordo quei luoghi e quei tempi, ma sono passati tanti anni e per me Chamoix è ormai solamente una bella cartolina degli anni ‘60. Ora ho famiglia e le mie mete vacanziere sono Bardonecchia per l’inverno, così i figli possono sciare con maggiore tranquillità su piste più facili e accessibili, e Santo Stefano per l’estate.
I programmi del weekend che si prospettava meteorologicamente favorevole erano quindi assolutamente divergenti: Franco in Riviera con la famiglia ed Enrico in Val d’Aosta con Cristina.
Per una mezz’ora si rituffarono nel passato, poi concordarono rapidamente tempi e modi dell’intervista all’Amministratore Delegato e si salutarono con un caloroso abbraccio. Si sarebbero rivisti la settimana seguente negli studi della RAI.
Purtroppo le previsioni del tempo si rivelarono ottimistiche, tanto che il cielo coperto e la temperatura piuttosto rigida per il mese di febbraio non contribuirono a rendere particolarmente gradevole e rilassante il fine settimana in Riviera e già nel tardo pomeriggio della domenica Franco rientrò in città con la famiglia. Giunto in piazza Statuto, dovette fermarsi per lasciar passare numerosi veicoli di soccorso con luce blu lampeggiante, mentre le sirene delle auto della polizia e dei Vigili del fuoco si inseguivano sotto i fiocchi di una lieve nevicata.
Attese con pazienza il via libera dai Vigili Urbani e poi ripartì con direzione casa.
Qui, la voce e le immagini del televisore, sintonizzato sul telegiornale regionale, lo colpirono a causa della drammaticità del racconto.
“Nell’incendio scoppiato nel pomeriggio al cinema Statuto si contano ormai decine di vittime. I soccorsi, pure intervenuti sul posto dopo pochi minuti, sono stati frenati dal fumo acre e velenoso che aveva invaso il locale. Ci riferiscono che nei locali più interni sono stati rinvenuti numerosi corpi inanimati. Una valutazione complessiva della situazione sarà possibile solamente quando i locali saranno stati completamente evacuati.”
E poi il giornalista informava che allo Statuto si stava proiettando il film francese “La capra” con protagonista l’attore Gerard Depardieu.
Le stesse tragiche immagini rimbalzarono poi sui telegiornali nazionali, ogni volta arricchite di nuovi agghiaccianti particolari.
Quel giorno, nel cinema Statuto di via Cibrario si contarono ben 64 vittime, in gran parte soffocate dai miasmi provocati dalla combustione dei materiali plastici usati per il rivestimento delle poltrone e delle pareti.
Quella notte Franco rivide in sogno le tragiche immagini del disastro e gli parve anche di sentire nell’aria l’odore acre della combustione.
Il giorno seguente, San Valentino, raggiunse l’ufficio con un certo ritardo poiché prima era passato dal fioraio di Piazza Adriano per ordinare il mazzo di rose rosse da portare a Maria la sera. Erano da poco passate le nove quando squillò il telefono e la voce bassa e spenta di Bruno, collega giornalista della RAI, lo colpì allo stomaco: “Enrico e Cristina sono morti nell’incendio dello Statuto. Ora li hanno portati all’obitorio. Non si sa ancora quando si faranno i funerali, ma io ora vado a casa dei genitori.”
“Vengo anch’io” riuscì a rispondere, mentre l’emozione provocata dall’annuncio inaspettato gli stringeva la gola “qual è l’indirizzo?”.
A casa dei genitori di Enrico un gruppo numeroso di amici e di colleghi di Enrico cercava in qualche modo di confortare due vecchietti, dimessi, piegati e quasi stroncati dalla violenza della notizia.
Franco non riuscì a trovare la forza d’animo per affrontare direttamente la situazione e si avvicinò a Bruno, che, in un angolo del salotto si sforzava di coordinare la disponibilità degli amici.
Quando si accorse della presenza di Franco, gli si avvicinò e gli passò un braccio sulle spalle.
“Quando si dice il destino! Certo che alle volte è beffardo e crudele. Pensa che, ieri mattina, Enrico e Cristina sono partiti alla volta di Chamoix, decisi a trascorrere la giornata sulle nevi dei duemila metri. Giunti a Corgnolaz, alla base della funivia che collega la strada statale con il villaggio, hanno trovato l’impianto bloccato a causa di un guasto improvviso. Così, nell’impossibilità di salire, hanno deciso di far ritorno a Torino. Si sono invitati a pranzo dai genitori di Enrico e poi, dopo un breve riposino, sono usciti per una passeggiata. In via Cibrario hanno visto le locandine del film La Capra e sono entrati nel cinema…” Si fermò, quasi a riprendersi dall’emozione e cercò gli occhi di Franco.
Tre giorni dopo, ai funerali di Stato ai quali partecipò anche il Presidente Pertini, confuso in una folla tanto numerosa da non poter essere contenuta dalla Piazza del Duomo, Franco ebbe tempo e modo di considerare l’imponderabilità del futuro, mentre non riusciva a scacciare dalla mente le parole della canzone Samarcanda, nella quale, solo pochi anni prima, il cantautore Vecchioni aveva fermato i contenuti del concetto “Destino”.

Cantagiro tutto italiano – Sardegna

domenica 15 Febbraio 2015

 

Ricordo personale del 2011 e del mio viaggio in Sardegna.

L’ aereo sta lasciando l’isola per rientrare a Torino, è venerdì’ sera e mi lascio alle spalle una splendida vacanza in Sardegna. Mentre sorvoliamo l’isola ci fanno da sfondo scenari unici di mare e di terra. Il sole calando ci regala un tramonto infuocato. Ripenso agli otto giorni passati in compagnia dei miei  compagni di viaggio, di Maria Luisa , la nostra guida, e Antonello, l’autista e stilo un bilancio consuntivo di questa vacanza: è stato un viaggio che ricorderò. La vacanza mi ha suggerito un’infinità di spunti e di curiosità, che adesso, più consapevole della storia e dei luoghi, andrò a soddisfare.
Sono stati otto giorni intensi abbiamo avuto un assaggio significativo dell’isola attraverso la visita di capoluoghi di provincia come Cagliari, Nuoro, Oristano, e di cittadine di rilievo quali Alghero, Castelsardo, Olbia, Porto Torres, Thorras, Stintino, Santa Teresa di Gallura,Palau, Tempio Pausania, Orgosolo, Aritzo.
Ma soprattutto, per me che non conoscevo l’isola la scoperta è stata la sua bellezza: i suoi scenari incontaminati,le sue foreste di lecci e castagni a perdita d’occhio, le fertili pianure del Campidano, le montagne del Gennargentu, le sue rocce granitiche e quelle levigate dal vento e dal tempo, che assumono forme sorprendenti, i suoi siti archeologici così carichi di storia e di civiltà, le sue baie, il suo mare, così mutevole a seconda dei versanti e così trasparente e colorato da mille sfumature, dal blu intenso all’azzurro, dal verde, allo smeraldo, dal bianco al grigio delle sue spume.
Autentici sono poi gli abitanti dell’isola, fieri, ospitali e generosi oltre ogni aspettativa. Non attraversavamo un paese, sia piccolo che grande in cui non fossimo salutati dagli anziani del posto, raccolti intorno ad alberi secolari, nelle piazzette del centro; oppure appena ci si fermava con il pullman si vedeva la voglia di comunicare della gente intorno a noi: peccato il poco tempo e la tabella di marcia da rispettare, sarebbe stato bello sedersi ad ascoltare i loro racconti o le storie della loro vita. Uno degli altri punti forti dell’isola è senz’altro la sua cucina, una cucina a di qualità e abbondante, molto varia. Si spaziava tra una vasta scelta di primi, al pesce,alla carne e ad una varietà di dolci buonissimi e tentatori. Le colazioni poi erano veramente favolose!
Maria Luisa, la nostra guida ci ha accompagnato passo passo nella conoscenza della sua tanto amata terra, con competenza, professionalità, entusiasmo. E’ stata instancabile nelle spiegazioni, nei racconti dettagliati, nella storia raccontata con dovizia di particolari sulle tradizioni, sui costumi, sulle consuetudini. Si è dimostrata preparata e appassionata in tutti i campi: dall’archeologia, alla geografia, dalla storia alla mineralogia, dalla botanica alla fauna e flora. E’ stata disponibile e paziente, discreta e onesta, una bella persona. E’ riuscita perfettamente nel suo scopo: farci conoscere l’isola,farci appassionare ad essa, se già non lo eravamo. Anche Antonello, l’ autista, ha guidato con competenza e bravura; ce lo ricorderemo soprattutto per la sua simpatia, per il buon mirto che ci ha offerto e per le sue pecorine in ceramica che lo accompagnavano nei suoi viaggi e che ha deciso di spartire con noi a fine viaggio.
Siamo ritornati a Torino in perfetto orario, sarà dura ricominciare la vita di tutti i giorni senza il sole e il mare della Sardegna, per questo ho cercato di immortalare negli occhi e nel cuore le immagini di quel paradiso, oltre alle numerose fotografie che abbiamo scattato e che mi aiuteranno a ricordare, nelle serate autunnali i luoghi e le persone viste e incontrate. Antonello l’autista, durante i trasferimenti ci ha fatto conoscere le musiche popolari e i canti tradizionali, tutte bellissime e con profondi significati, ne ricordo una in particolare il cui testo é bellissimo e la musica dolcissima: No photo reposare, che vi propongo.

Franca Furbatto

Cantagiro tutto italiano – Basilicata

venerdì 13 Febbraio 2015

 

 

E siamo giunti alla Basilicata, il mio pensiero va a Bruna, compagna alle elementari e inseparabile amica della mia adolescenza, quando ancora abitavo a Torino, a Madonna di Campagna. La madre era nata a Potenza e pur avendo la stessa età di mia madre, era analfabeta, mi suonava così strana questa realtà, non riuscivo a comprendere tale diversità.  Era una brava donna del sud, riservata, con poche amicizie, non usciva quasi mai, viveva in funzione della famiglia.  Il papà era dolcissimo, adorava la figlia, la viziava, ricoprendola di doni, ma Bruna non ha mai approfittato della situazione, era una brava bambina.  Il padre faceva l’autotrasportatore, percorreva tratte internazionali e stava via anche tutta la settimana, a volte anche per due, per cui le due donne, madre e figlia erano molto sole. Non avevano parenti vicini, se non per un breve periodo, in cui la sorella della mamma abitò nella stessa casa. Io passavo tutti i pomeriggi a casa loro, perché la madre preferiva che Bruna non si allontanasse dalla sua sfera di controllo. La ricordo con piacere intenta  a preparare qualche specialità della sua terra: verdure stufate, pasta fatta in casa, calzoni, dolci tipici che mi offriva con slancio, ma ahimé, a quei tempi non mangiavo quasi nulla, per cui rifiutavo sempre. Io e Bruna non volevano perdere tempo, volevamo solo giocare e stare insieme. Lei ribadiva spesso l’importanza di studiare e insisteva perchè Bruna si applicasse con costanza, naturalmente avrebbe preferito che facessimo i compiti o studiassimo, ma io arrivavo da Bruna che avevo già fatto tutto, per cui aiutavo Bruna a fare anche lei il suo dovere velocemente, per essere libere di divertirci. Come molte altre persone anche loro avevano dovuto abbandonare la loro terra perché al sud non c’era lavoro, le condizioni delle famiglie di origine erano poverissime, spesso i luoghi dove abitavano erano malsani e le condizioni di vita durissime.  Terra brulla la Basilicata, montuosa, impervia, sono nel ‘ 30 era arrivato l’acquedotto che aveva migliorato di gran lunga le condizioni, facendo sì che venissero risanate aree infestate dalla malaria e recuperate zone destinate alla coltura. Oggi la situazione é cambiata e il paese rappresentato in vari film e documentari appare nel suo complesso così caratteristico: monti, alture, piane, mare con lunghe spiagge sabbiose, pinete che si spingono al mare, boschi e cascate. Matera dal ’98 é considerata patrimonio dell’Unesco, i suoi Sassi, scavati nel tufo, hanno fatto il giro del mondo, eppure fino al ’60 erano ancora abitati da famiglie numerose, che hanno lottato fino all’ultimo per non abbandonare “le loro case”, anche se venivano descritte come una vergogna. Ma quindi il territorio non può essersi modificato profondamente, allora siamo cambiati noi, sopraffatti dall’incalzare del mondo moderno, travolti dal cemento e dall’inquinamento che ricerchiamo la pace, la serenità di quei luoghi incontaminati?

Propongo qui una canzone intitolata “Lucania mia”, anche se la regione fu chiamata così sono negli anni dal  ‘ 32 al ’47, periodo fascista. I temi ricorrenti in queste canzoni sono la nostalgia, la ricerca delle proprie radici, spesso sopite ed ignorate per anni , quasi a voler riscoprire quel mondo lontano, genuino, reale, lontano dalle apparenze, a ritrovare le sue genti, le abitudini, quei profumi, quei sapori, mai dimenticati, che si sono dovuti lasciare a così caro prezzo.

 

Franca Furbatto

Ricordo della Signorina Rosalia

lunedì 9 Febbraio 2015

 

    signorina_grosso    signorine

Non essendo nata, né cresciuta a Volpiano, ma essendoci arrivata solo in età adulta e lavorativa, non avevo mai incrociato la Signorina Rosalia.  Qualche anno fa, ormai in pensione la incontrai davanti all’agenzia di Gennari e fu Lei a chiedermi di mia madre, voleva sapere come stava; sapeva chi ero, perché mi disse, avevo lo stesso sorriso di mio padre e mi raccontò di come, entrambi lettori accaniti, si scambiavano libri di avventura. Era riuscita a creare subito quella familiarità che ti invogliava a fermarti per chiacchierare con Lei. In un’altro incontro le avevo parlato di una sua foto che avevo trovato per caso, che la ritraeva giovane, con un’ amica, a Torino , con un’aria spensierata e fu in quella occasione che mi invitò ad andare a trovarla per mostrarmi altre fotografie. Certo ne aveva di storie da raccontare, novant’anni di vita vissuta, testimonianze fervide del nostro paese e della sua gente. Marina Borge ha scritto un bel racconto su di Lei, che mi ha permesso di conoscerla meglio. Mi resta il rimpianto di non aver accettato l’invito, anche se tante volte, passando davanti a casa sua, avrei voluto suonare ed entrare per incontrarla e passare del tempo con Lei, sarebbe stato oltremodo piacevole e prezioso, ma non ho mai osato, perchè non avevo tutta quella confidenza…., anche se sono certa, mi avrebbe ben accolto. Grazie  Signorina comunque per quegli incontri che abbiamo avuto e per tutto quello che ha fatto per i ragazzi di Volpiano e non solo, per tutte le persone che ha conosciuto ed incontrato nel corso della sua lunga vita, che conservano di Lei bellissimi ricordi. Riconoscevi subito in Lei un’intelligenza vivace, una vasta cultura, che non ostentava per niente, la sua allegria traspirava dai suoi occhi brillanti, nonostante l’età. Aveva una visione della vita positiva e una fede incrollabile nei giovani e nelle loro inaspettate risorse. Mi auguro che coloro che le sono stati vicini e i suoi parenti, non disperdano il patrimonio di ricordi e testimonianze che la Signorina ha lasciato dietro di sé, sarebbero preziosi cimeli e pagine della storia di Volpiano, che il paese e la sua gente avrebbe piacere di conservare, di trattenere, quasi a voler impedire alla Signorina di accomiatarsi con la sua eleganza da tutti noi… Riposi in pace, dolcissima Signorina.

 

Franca Furbatto

Cantagiro tutto italiano – Calabria

venerdì 6 Febbraio 2015

 

 

 

 

Questa canzone che vi propongo “Calabrisella mia”, é forse la più rappresentativa della Calabria. E’ la storia di due giovani che si incontrano alla fontana: la ragazza porta con sé il bucato da lavare e il ragazzo cerca di conquistarla, lodando la sua bellezza. Frasi semplici, ricche di sentimento, che assumono versioni diverse a seconda delle varie località della regione. L’autore rimane anonimo, le versioni cantate sono diverse, qui la ritroviamo interpretata da Mino Reitano, calabrese di San Pietro di Fiumara, che é stato un inconfondibile interprete della canzone italiana, in Italia e nel mondo, artista conosciuto per la sua esuberante vitalità e simpatia, profondamente legato alla sua terra, la Calabria appunto, da un amore struggente ed incondizionato.

E così siamo giunti in Calabria, l’estremo sud dell’Italia, la punta dello stivale, che raccoglie in una stessa vasta estensione coste sconfinate rocciose e spiagge sabbiose, pianure fertili, montagne suggestive, cupe selve, gole fluviali, cascate fragorose, asperità naturali e strapiombi che si immergono a picco nel mare sottostante. Una varietà incredibile di paesaggi. Ricca di cultura, tradizioni e di testimonianze delle sue antiche origini. Mi piacerebbe da anni poterla visitare, voglio trovare l’occasione per andarci assolutamente,  é una regione che mi manca. Le sue immagini sono spettacolari e così pure le testimonianze di amici e colleghi.

 

Franca Furbatto

Cantagiro tutto italiano – Salento

giovedì 5 Febbraio 2015

Questa canzone é dedicata a Nenuccia, mia suocera, alla sua terra tanto amata, Calimera, che portava sempre nel cuore e alle sua genti che possiedono una straordinaria generosità d’animo, un forte senso della famiglia, tanta voglia di lavorare, anche a costo di duri sacrifici, una fortissima capacità di adattamento ed una contagiosa vitalità ed allegria. Parecchie volte le ho sentito cantare questa canzone, come altre (Matinata, Pai Pai, Tarantella…),  che interpretava con una voce melodiosa e nostalgica.

Il canto vuole essere un omaggio intimo alla tradizione della Grecia Salentina, area del sud d’Italia in cui sopravvivono una lingua e una cultura di origine greca: il griKo. Il canto “Aremu rendineddha” descrive lo struggimento per la lontananza dalla propria terra, tanto amata. E’ una lingua melodiosa, dolce, che risuona tra stradine e corti, tra ulivi e campi di grano, sulle rocce in riva al mare, lungo le coste battute dal vento. La canzone qui é riproposta da un gruppo musicale, che ha portato avanti in questi anni, grazie al contributo di personaggi importanti nella tradizione musicale locale, lo studio di canti antichi, che si sono tramandati anche solo oralmente, di generazione in generazione, fino ad arrivare ai giorni nostri a permetterci di gustare l’essenza intima e struggente di questa terra e delle loro genti.

Il Salento é una terra antica, anzi una “pietra” antica, per la morfologia del terreno, per il dilavamento che le acque hanno operato in milioni di anni , per il vento e il mare che hanno battuto senza sosta le sue coste e scompigliato le sue dune di sabbia, piegando le fronde delle sue pinete. Gli ulivi che ricoprono il Salento con il loro manto argenteo, sembrano proteggerlo dal sole che abbaglia ed addormenta: ulivi contorti, antichi patriarchi che, anche se stanchi e malati, ancora cercano di tirare fuori l’anima della terra, come a non volere arrendersi. Una terra accogliente da sempre, generosa, una terra dove la parola “staniero” suona, essa sì, straniera. Così gli abitanti senza fatica, sono ospitali, ti danno subito del “tu”, favoriscono l’incontro tra le genti, lo cercano, come a soddisfare una naturale esigenza dell’anima. I segni della storia si accavallano, si confondono, si fondono, anche perchè si sono fermati in tanti lungo le coste; qualcuno ha dato molto, come i Greci, altri hanno solo depredato come i Turchi e i pirati saraceni, altri hanno conosciuto la loro rinascita, quando sono approdati stanchi e disperati su questi lidi. Nel cuore di questa terra, in uno scrigno di storia e di cultura, muti testimoni del tempo, raccontano le fatiche dell’uomo e della natura, ma anche tante storie di vite personali, di emigrazioni verso terre straniere, di lontananza, di nostalgia, ma anche di integrazione, di successi, di opportunità di lavoro, di incontri, di amori e di speranza.

 

Franca Furbatto

Cantagiro tutto italiano – Sicilia

lunedì 2 Febbraio 2015

 

 

 

Rosa Balistreri (Licata 21/3/1927 – Palermo 20/9/90), nacque da una famiglia molto povera e visse un’infanzia e una giovinezza nella miseria e nel degrado sociale, nel quale viveva l’intera Marina di Licata a quell’epoca. Rosa cantava per le vie del quartiere a squarciagola, la sua rabbia e il suo disagio. La famiglia si trasferì poi al nord, ma a quindici anni, ritornò a Licata, dove Rosa veniva chiamata per cantare in chiesa a battesimi e matrimoni, indossando per la prima volta le scarpe in vita sua. A sedici anni fu data in sposa, ma il suo matrimonio fu ancora più misero e squallido della sua infanzia, tanto da portarla, per una serie di avvenimenti negativi, in carcere. Superato questo triste periodo, incontrò il pittore Manfredi, con il quale visse per dodici anni, trascorrendo un periodo sereno e ricco di amore della sua vita. Ebbe inoltre la possibilità di incontrare personaggi dell’arte e della cultura famosi. Incise così il suo primo disco, tramite la casa Ricordi, iniziando così la sua carriera di cantautrice originale ed esecutrice di revival, riproponendo nei suoi spettacoli quel vasto bagaglio di canzoni appreso durante l’infanzia. A Bologna instaurò una seria e preziosa amicizia con il poeta dialettale Ignazio Buttitta e al cantostorie Ciccio Busecca che la aiutarono così ad entrare a pieno titolo nel mondo dello spettacolo, Partecipò allo spettacolo di Dario Fo, calcò le scene dei maggiori teatri italiani ed esteri. Nel 73 prese parte al festival di Sanremo con la canzone “Terra che non senti”. Accompagnò la Proclemer nel suo spettacolo teatrale in Italia “La lupa”. Partecipò attivamente fino all’87 a spettacoli e varietà. Nel frattempo si era ristabilita in Sicilia, a Palermo, dove morì nel 1990 nell’ospedale Villa Sofia, colpita da un ictus, tra il cordoglio della sua città e dell’Italia tutta.

La canzone “Terra ca nun senti” da il titolo all’album omonimo di Rosa Balistreri. sembra il resoconto della prima parte della vita della cantante, “vent’anni di turmentu cu lu cori sempri in guerra”. La vita così vissuta è una maledizione ed allora “malidittu dru mumentu ca grapivu l’occhi in terra” “maliditti tutti st’anni”.
La canzone è di forte impatto, esprime l’attaccamento alla terra di Sicilia, ma è anche un forte rimprovero a questa terra bella, ma desolata, che vede morire i propri figli, li vede partire emigrati e non fa niente. Il rimprovero è in effetti rivolto ai politici, alla miope politica sul lavoro, ai governanti di Roma che fanno languire questa terra piena di bellezze paesaggistiche, di risorse culturali non sfruttate; non resta altro da fare che piangere.

 

Franca Furbatto

 

 

Cantagiro tutto italiano – Roma

venerdì 30 Gennaio 2015

La canzone “Vecchia Roma” del 1951 é il rimpianto della Roma popolaresca che non c’é più, dei vecchi quartieri che hanno lasciato il posto alle nuove urbanizzazioni, del sistema di vita che é cambiato, dei rapporti sempre più difficili tra le persone.  L’interprete é Claudio Villa, il reuccio della canzone italiana. Nato a Roma il primo gennaio 1926, a Trastevere, vero nome Claudio Pica. La famiglia é di modeste condizioni, il padre calzolaio e la madre orlista, tanto che il piccolo Claudio deve svolgere lavoretti di fortuna, per contribuire al bilancio familiare. Adolescente, comincia a cantare nei ristoranti e nei piccoli teatri, intanto studia canto alla scuola Principessa Mafalda di Via Cavour. Nel 1944 debutta all’Ambra Jovinelli con “Il cardellino” e il direttore del teatro gli consiglia di cambiare il cognome in Villa. E’ un successo, diventerà per tutti uno dei principali interpreti della canzone italiana e romana. Era dotato di una voce profonda, potente e squillante, ricca di sfumature leggere. Vinse quattro festival di Sanremo e calcò i palcoscenici di mezzo mondo. Purtroppo nel 1945 compaiono i primi segni di quel male che lo segnerà tutta la vita: la tubercolosi polmonare. Fu interprete di canzoni straordinarie come Buongiorno tristezza, Granada, Binario, Addio sogni di gloria, Vola colomba, Santa Lucia, Mamma, Terra straniera e tantissime altre. Il primo gennaio 1987, é colto da infarto, viene ricoverato a Roma e poi trasportato a Padova per un intervento a cuore aperto; morirà a seguito di complicazioni polmonari il 7 febbraio 1987. Pippo Baudo che presentava in contemporanea il festival di Sanremo ne diede costernato  la triste notizia in diretta, tra lo sgomento del pubblico presente e di tutte le persone che lo amavano.

 

Franca Furbatto

Cantagiro tutto italiano – Firenze

venerdì 30 Gennaio 2015

Odoardo Spadaro era nato a Firenze nel 1893 da una famiglia agiata. Dedicatosi agli studi di giurisprudenza, li lasciò presto per dedicarsi alla musica, sua grande passione. Nel 1927 si trasferì a Parigi, dove divenne presto l’attrazione del momento, al Moulin Rouge, a fianco di Mistenguette e Jean Gabin. Oltre ad essere cantautore, infatti era soprattutto un uomo di spettacolo, forse l’unico personaggio italiano del varietà così internazionale. Lavorò infatti anche a Londra e in Germania negli anni 30. Lontano dall’Italia, soprattutto durante il fascismo, scrisse nel 1938, all’età di 45 anni “Porti un bacione a Firenze”, dedicata alla sua città e ispirata senz’altro alla nostalgia per il suo Paese, nella sua qualità di emigrante, seppur di successo. Nel 1955 venne prodotto un film che portava lo stesso nome della canzone, interpretato da Milly Vitale e Alberto Farnese e dallo stesso Spadaro, che cantava la sua canzone. Interpretò parecchi altri film italiani e non. Fu selezionatore nel 1955 delle canzoni del Festival di Sanremo. Alla sua morte avvenuta nel 1965, durante i suoi funerali, i posteggiatori della città, per rendergli il dovuto omaggio, intonarono la sua canzone, che era diventata simbolo della città di Firenze.

Franca Furbatto

 

Cantagiro tutto italiano – Venezia

martedì 27 Gennaio 2015

 

 

L’abitudine di cantare in gondola permane tuttora, e lo sanno i turisti, soprattutto stranieri che adorano questi rituali, piuttosto costosi per le nostre finanze. Si tratta di canzoni eseguite dai gondolieri a Venezia, su vecchie arie settecentesche. Del vecchio repertorio delle ” cosiddette canzoni da batelo “, resta forse, solo “La biondina in gondoleta”, musicata da Simon Mayr,  su testo di Anton Maria Lamberti, arrangiata poi  da Beethoven per canto e piano assieme. Il testo era  dedicato a Marina Querini Benzon, nobildonna veneziana, piuttosto conosciuta per la sua vita sentimentale tumultuosa. Le canzoni erano composte sia da dilettanti che da musicisti affermati, che ci tenevano, comunque, a mantenere il più stretto riserbo sulle loro composizioni. Erano un valido strumento di intrattenimento dei clienti, durante le passeggiate in laguna, nel settecento e lo sono tuttora. Le abitudini sono rimaste con testi e canzoni diverse. Nell’Ottocento la tradizione viene mantenuta viva e così nel Novecento, quando tutte le occasioni sono valide per dedicare serenate, diffondere testi romantici, citare poesie, o racconti che fanno conoscere al mondo il fascino di Venezia. Negli anni cinquanta, sessanta le canzoni si rinnovano con ritmi e sonorità diverse. Di questo periodo la canzone che proponiamo “Marieta, monta in gondola”, a due voci del maestro Bixio Cherubini, paroliere, poeta, editore musicale e autore di canzoni indilaetto e in italiano. Autore di canzoni famose come Violino tzigano, Mamma, Il tango delle capinere, Lucciole vagabonde, Miniera, Signora fortuna, Madonna fiorentina e tante altre. Originario di Rieti, interruppe l’università e il lavoro alle Poste per dedicarsi alla musica leggera, sua grande passione. A  Roma conosce il compositore napoletano Cesare Andrea Bixio, con il quale inizierà una prolifica collaborazione. Nel 1952 in collaborazione con Carlo Concina, scrive il testo di Vola colomba, che gli vale la vincita al festival di Sanremo.

 

Franca Furbatto