Al passaggio della bufera l’empio cessa di essere,
ma il giusto resterà saldo per sempre. (Proverbi 10:31)
Saltiamo in sella sulla nostra bici alata e cominciamo a pedalare da Fossano, dove nel 1904 è nato …
Lorenzo: dignità nella disperazione
“Lorenzo era un uomo; la sua umanità era pura e incontaminata, egli era al di fuori di questo mondo di negazione. Grazie a Lorenzo mi è accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo”
(Primo Levi, Se questo è un uomo).
Lorenzo Perrone è un abile muratore; alla ditta, presso cui lavora, vengono richiesti operai esperti da impiegare a Monowitz: questo campo di lavoro fu uno dei tre principali che formavano il complesso concentrazionario situato in prossimità di Auschwitz, in Polonia.
Tra “gli ospiti del Lager”, così come li definisce egli stesso in “Se questo è un uomo”, c’è Primo Levi: catturato il 13 dicembre 1943, arrivò ad Auschwitz nel febbraio 1944 e rimase qui internato ad Auschwitz III-Monowitz fino al gennaio 1945.
Né si può dire che Levi fosse particolarmente beneviso o godesse della solidarietà degli altri internati ebrei, come si potrebbe immaginare nella drammaticità in cui versava quella disperata comunità; il fatto di queste disattenzioni risiede nella sua non conoscenza dell’yddish.
Nell’immaginario collettivo quella dei campi di concentramento è da tutti considerata come un’esperienza limite dell’umanità, ma non dimentichiamo che non è stata solo ed unicamente nazista: circa 20 milioni di russi furono eliminati nei lager sovietici negli anni Venti e durante quelli del terrore stalinista. Questa sarebbe una stima molto prudenziale perchè non esiste certezza sul numero del genocidio sovietico: infatti Solgenitsin e altri dissidenti parlano in genere di 60 milioni di vittime!
E non trascuriamo neppure altri genocidi, ancora più recenti, per i quali ci sarebbe da scrivere lunghe pagine di orrori compiuti in nome di un’ideologia.
Torniamo a Levi e a Perrone: in qualche modo si conoscono (fonti diverse citano che uno dei due abbia sentito parlare in dialetto piemontese l’altro oppure viceversa).
In un clima di terrore, di freddo, di fame, di malattia e di immanente fine esiste solo “mors tua, vita mea”. Ma non sempre è così: ed ecco il perchè della granitica citazione iniziale.
Lorenzo Perrone viene a conoscenza della terribile condizione dei deportati. Nei momenti più bui dell’umanità, alcuni Uomini, quelli che meritano essere scritti con la U maiuscola, riescono ad esprimere i sentimenti più alti e più nobili.
A costo della propria vita, da quel momento e fino al dicembre 1944, procurerà, per sfamare Levi, un po’ di cibo in più, rinunciando a parte del suo, oppure, sembra, anche rubandolo dalla cucina; gli farà avere una maglia per proteggersi un po’ meno peggio dal rigori del freddo e manterrà, in modo rocambolesco, la corrispondenza con la sua famiglia.
In cambio di tutto questo non chiede nulla.
Per mettere in evidenza la bontà dell’animo e l’umanità di quest’uomo occorre raccontare l’ultimo incontro tra i due, che avviene mentre il fronte si avvicina sotto pesantissimi bombardamenti: Lorenzo, in quel frangente e nonostante tutto, si scusa con Levi perché nella minestra, che gli sta porgendo, è finito del fango a seguito dell’esplosione di una bomba, senza fargli pesare il fatto che, nel portagli il piatto, è rimasto ferito a un timpano.
Perrone, si dice, sia tornato in Italia a piedi; giunto a Torino, va a far visita ai familiari di Levi: all’offerta di accettare almeno il pagamento del biglietto del treno, per abbreviare il suo ritorno a casa, rifiuta: “Sono arrivato fin qui a piedi, posso andare a casa ancora a piedi” si racconta abbia risposto.
Levi, attraverso Perrone, trova la forza per resistere alla disperazione e scriverà “Per quanto di senso può avere il voler precisare le cause per cui proprio la mia vita, fra migliaia di altre equivalenti, ha potuto reggere alla prova, io credo che proprio a Lorenzo debbo di essere vivo oggi; e non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per avermi costantemente rammentato, con la sua presenza, con il suo modo così piano e facile di essere buono, che ancora esisteva un mondo giusto al di fuori del nostro, qualcosa e qualcuno di ancora puro e intero, di non corrotto e non selvaggio, estraneo all’odio e alla paura”
Levi, finito l’orrore della guerra, prenderà contatto con Perrone e lo incontrerà a Fossano. Perrone si ammalerà e Levi provvederà al suo ricovero per curare la tubercolosi che gli sarà fatale. In suo onore darà alla figlia il nome Lisa Lorenza e al figlio Renzo.
Il 7 giugno 1998, Yad Vashem riconosce Perrone come Giusto fra le Nazioni. Il suo è il dossier 3712.
Il prossimo traguardo sarà a … qui in zona canavesana
L. Garombo