Quella che ci ha portati nella zona tra Umbria e Toscana è una visita che richiede almeno quattro giorni: luoghi che, seppure visitati più volte nella vita, anche a distanza di anni riescono ancora a meravigliare. Stiamo parlando delle “terre di mezzo”, quel prezioso scrigno del nostro paese in cui è concentrato il maggior numero di opere d’arte, borghi medioevali, castelli, torri e pievi.
L’Umbria, intesa nei suoi attuali confini amministrativi, è una creazione otto-novecentesca. Il suo aspetto nel corso dei secoli fu infatti ben diverso, di volta in volta riunendo insieme luoghi con storie e culture assai differenti e disomogenee tra di loro. È proprio grazie a questa complessità che il patrimonio storico-artistico della regione è così straordinariamente variegato e, allo stesso tempo, privo di battute d’arresto dall’antichità etrusco-romana fino all’epoca moderna. E tutto questo è consegnato ad una campagna con colori e con verdi quinte collinose da mozzarci il fiato.
Questi borghi, e alcuni sono fra i più belli d’Italia, hanno come caratteristica comune la cinta muraria con le relative porte che, appena oltrepassate, ci fanno entrare direttamente nella storia. L’impianto medioevale si è adagiato sulle stratificazioni avvenute nel corso dei secoli senza tuttavia alterarne più di tanto l’assetto dell’intero agglomerato urbano ed architettonico, consegnando così a noi meraviglie rimaste immutate nel corso dei secoli.
Abbiamo trovato un arredo urbano perfetto in ogni borgo visitato. Fermiamoci un attimo, prendiamoci il tempo necessario per una breve riflessione: in migliaia di piazze italiane una scena si ripete ogni mattina, quella di bere un buon caffè e potere contemplare la facciata di un duomo. Ci riduciamo invece a ingollare un caffè senza assaporare almeno con uno sguardo tutta l’arte, la storia che ci circondano. Come la vogliamo chiamare? Fretta, fretta di cosa e per cosa? Invece questa è la quintessenza della qualità della vita. O avete qualche altra idea?
Noi italiani ci siamo naturalmente abituati a convivere con l’arte che ci circonda da millenni tanto da far dire che “nella maggior parte dell’Italia è una cosa innata come respirare” perché “gli dei hanno rovesciato sull’Italia il loro cesto di doni” (Frances Mayes): dovremmo invece dedicare una parte più importante alla loro valorizzazione, conservazione, restauro e, soprattutto, alla loro scoperta.
Prima di iniziare il racconto del viaggio, precisiamo che, allo scopo di non abusare della Vostra attenzione, lo divideremo in due “puntate”: questa è la prima, la seconda, come ci hanno insegnato i maghi della comunicazione radiotelevisiva (sic!) tra una settimana.
Ed ora andiamo a …
MONTEPULCIANO
Il nostro itinerario comincia da Montepulciano, costruito su una stretta cresta di calcare a 605 metri sul livello del mare; è circondato da una cinta muraria e da fortificazioni progettate nel 1500 per ordine di Cosimo I. Il centro urbano si sviluppa lungo un corso, su cui si affacciano l’imponenza dei palazzi rinascimentali e l’elegante bellezza delle sue chiese, corso che, salendo lungo la collina, raggiunge, alla sua sommità, la piazza centrale, Piazza Grande.
A Montepulciano abbiamo alloggiato, per nostra scelta, fuori dell’abitato poco oltre il Tempio di San Biagio, attratti dal nome “Il Girasole”, lontani giusto quel centinaio di metri dalla strada, che ci ha permesso di apprezzare il “rumore”, o meglio l’anima, del silenzio, il cielo notturno ammantato di stelle come ormai da noi non è più possibile vedere e beneficiati da una visita fuori programma: una frotta di lucciole illuminava la notte.
Partendo dalla parte bassa della città, per la trecentesca porta di Gracciano entriamo nel centro storico e ci accompagnano tutta una serie di vestigia due-trecentesche fino in Via del Poliziano con la trecentesca casa del Poeta al numero 5. Più oltre, dalla via Collazzi si scopre, in basso, lo stupendo Tempio di S. Biagio; la strada di destra è la Via San Donato, che costeggiando la Fortezza, sale verso Piazza Grande, il centro monumentale della città.
Siamo arrivati così nella parte più alta di Montepulciano. Il primo edificio che colpisce la nostra attenzione è sicuramente il Palazzo comunale. La sua costruzione, iniziata nella seconda metà del 1300, si è protratta sino alla metà del 1400; rivestito in travertino, è di gusto fiorentino sia nell’impianto generale della facciata sia nei dettagli ed ha una notevole somiglianza con Palazzo Vecchio di Firenze.
All’interno, attraverso il portale, si apre un cortile con due belle logge e dalla torre si abbraccia uno dei più bei panorami dell’intero territorio.
Sempre nella piazza troviamo, di fronte al Pozzo dei Grifi e dei Leoni, il Palazzo del Capitano del Popolo, uno degli esempi di arte gotica rimasti a Montepulciano; più oltre, il Palazzo Tarugi e il Palazzo Contucci e infine il Duomo, al cui interno si trova il trittico del senese Taddeo di Bartolo
CASTIGLIONE DEL LAGO
Si arriva a Castiglione del Lago da un rettilineo che offre un notevole colpo d’occhio sul borgo antico, posto nella parte alta dell’abitato (“una rocca su un velo d’argento”). Una scalinata e l’ottocentesca porta senese ci introducono nel paese cinto da un esteso perimetro murario.
Il nome della località deriva dalla fortezza medievale chiamata “Castello del Leone” per la sua forma pentagonale. Attraverso vicende storiche diventerà Palazzo della Corgna, dal nome del cognato (in altre fonti nipote) del papa Giulio III, e verrà ristrutturato a metà del 1500 per ospitare la corte dei Marchesi; ora è sede del Municipio.
La Rocca del Leone è una fortezza medievale dalla singolare forma a cinque punte, che ricorda la costellazione da cui prende il nome, quattro torri e un mastio triangolare la completano. Edificata per volontà di Federico II a partire dal 1247, costituisce uno dei migliori esempi dell’architettura militare del Medioevo umbro.
Su oltre 1200 m2 il Palazzo racchiude uno tra maggiori cicli pittorici del tardo manierismo umbro-toscano: dipinti dal Pomarancio, per celebrare le gesta del condottiero Ascanio della Corgna con temi cari al XVI secolo; le valorose imprese di eroi romani e le scene ispirate alla mitologia greca oggi ci sono state restituite alla loro bellezza originaria dopo un attento restauro.
Potete solo immaginare dalla foto, quale sia il panorama che si possa godere dalla torre di questo angolo d’Italia: il lago, gli ulivi, e tutt’intorno una vegetazione che incornicia questo borgo, particolarmente apprezzabile percorrendo il camminamento della cinta muraria che collega il palazzo al castello.
PANICALE
Da un colle all’altro, ecco Panicale: “luogo dove ardono are al dio Pan” (Pani calet), o “dove tutto è bello” (Pan kalòn), oppure “colle sacro a Pan” (Panis collis) o, ancora, “luogo dove si coltiva il panìco” (pan colis), cereale rappresentato nello stemma da due spighe: qualunque sia la vera etimologia, Panicale è luogo di grande fascino.
Conserva, praticamente intatta, la struttura del castello medioevale, e si sviluppa su tre livelli con due ingressi, l’uno verso Perugia l’altro verso Firenze, le sue tre piazze inglobate in un giro di ellissi concentriche. Entrando da Porta Perugina, s’incontra subito Piazza Umberto I, dove spicca la bella cisterna ottagonale in travertino del 1473, poi trasformata in fontana, di fronte al trecentesco Palazzo Pretorio. Questo è il primo dei tre livelli su cui si sviluppa il borgo, ognuno con le sue stradine che convergono verso la piazza.
Al secondo livello sta la piazza del potere religioso, che prende nome dalla maestosa Collegiata di San Michele Arcangelo. La chiesa, di origine longobarda, più volte ampliata e infine ricostruita in forme barocche nel 1618, racchiude pregevoli opere d’arte, prime fra tutte la tavola dedicata alla Natività di Giovan Battista Caporali, allievo del Perugino (1519) e, dietro l’altare centrale, l’affresco dell’Annunciazione attribuito a Masolino da Panicale, il maestro di Masaccio.
Saliamo ancora, questa volta verso il potere politico e arriviamo a Piazza Masolino, il punto più alto di Panicale, dove si trova il Palazzo del Podestà del XIV secolo, costruito in stile lombardo-gotico dai maestri comacini. Qui la vista spazia sul lago Trasimeno e le terre di confine tra Umbria e Toscana.
In borghi come questo, agli occhi del turista attento non possono certo sfuggire i particolari, quei dettagli importanti come lo possono essere un volto incastonato tra le pietre di una facciata, le splendide formelle in cotto sui muri delle case, un pozzo decorato, i bei lampioni ad ogni angolo di strada e, ovunque, fiori ad ingentilirne l’aspetto ed abbellirne le stradine.
CITTA’ DELLA PIEVE
La prima cosa che notiamo in questo paese che domina la Valdichiana, non lontana dal confine con la Toscana, sono le sue case, alcune molto alte, costruite utilizzando esclusivamente il mattone di cui la città fu rinomata produttrice nel Medioevo.
Ampiamente utilizzati nelle sue costruzioni, a differenza di altri borghi dove coesiste o prevale la pietra, l’impianto urbano non va a discapito di una diffusa armonia tra architettura, materiali e composizione di forme, senza, per questo, escludere la creatività.
Le piazze Gramsci e Plebiscito che si trovano sul punto più elevato del colle ruotano intorno alla mole del Duomo. Dedicato ai santi Gervasio e Protasio sorge sul luogo della pieve primitiva; vari rimaneggiamenti non hanno però nascosto la costruzione gotica nella parte inferiore della facciata e nell’abside.
Il grandioso Palazzo della Corgna, affacciato su piazza Gramsci, si compone di tre corpi che prospettano su un armonioso cortile interno ed è sede della biblioteca comunale: attualmente il patrimonio librario complessivo è di circa 27.000 volumi di cui 4.000 costituiscono il Fondo Antico. Quest’ultimo rappresenta la parte più importante e preziosa comprendendo, oltre a libri anteriori al 1831, vari manoscritti, incunaboli e cinquecentine.
Nel 1250 i Terzieri nascono come suddivisione amministrativa della città medioevale in tre parti e compaiono nell’atto di sottomissione a Perugia quando, dopo una breve parentesi di libertà dovuta alla protezione dell’Imperatore Federico II di Svevia, l’antica Castel della Pieve viene definitivamente riassoggettata dalla Città del Grifo. Intanto contro Perugia guelfa Castel della Pieve, costantemente ghibellina, si era modellata su Siena, la grande potenza filoimperiale dell’Italia Centrale. E proprio al periodo di affermazione delle libertà comunali risale la definita conformazione urbana, pervenutaci pressoché intatta fino ai giorni nostri.
La forma della città assomiglia ad un’aquila, simbolo dell’Imperatore, ed è orientata minacciosamente verso Roma: sarà forse un caso? Le tre parti dell’”aquila” coincidono con i Terzieri, che a loro volta alludono alle tre classi sociali; alla testa corrisponde il Terziere Castello o Classe dei Cavalieri (gli aristocratici che andavano alla guerra con il cavallo); alla pancia, il Terziere Borgo Dentro o Borghesia; all’ala-coda il Terziere Casalino o Classe dei Pedoni (i contadini inurbati che andavano alla guerra a piedi e usavano l’arco o la balestra).
Tra i secoli XV e XVI, come riferiscono gli eruditi locali, anche a Castel della Pieve come a Siena si svolsero le Cacce del Toro sfidandosi al tiro dell’arco su sagome mobili in forma di toro chianino collocate su una pedana circolare. Il periodo in cui si eseguivano le Cacce del Toro coincide con quello in cui visse il più grande figlio di Città della Pieve, Pietro Vannucci detto “Il Perugino” (1450 c.a. – 1523). E proprio al Maestro di Città della Pieve si ispirano i costumi dei circa 1000 figuranti che compongono il Corteo Storico del Palio dei Terzieri.
Proprio in prossimità della festa di S. Luigi Gonzaga, patrono del Terziere Casalino, la città era pavesata con stendardi dei terzieri; nelle due settimane centrali di agosto, i Terzieri si sfideranno nel Palio, per la Caccia del Toro.
Una curiosità: il Vicolo Baciadonne. È ritenuta una delle vie più strette d’Italia, sorta probabilmente a causa di una lite tra confinanti. La denominazione, già rintracciabile nelle piante del secolo XIX, è ovviamente da mettere in riferimento all’arguta fantasia popolare. Percorso il vicolo, splendida veduta sulla Chiana Romana ed il fiume Cetona.
E qui termina la prima “puntata” nell’attesa che Marina riesca a districarsi dall’abbraccio possente dei muri che la tengono “prigioniera”.
A presto da Marina e Luciano