Archivio di Aprile 2012

Caterina V.

lunedì 30 Aprile 2012

Indico solo l’iniziale del cognome, anche se vorrei che tutti lo conoscessero soprattutto per ciò che ha rappresentato per me.

Sì, perché Caterina V. è stata, preferirei però dire è, perché lo è ancora adesso, una delle donne più importanti della mia vita, mi ha dato moltissimo: il suo ricordo non mi abbandonerà mai e mi accompagna ancor oggi: mi dispiaccio non avere dato continuità al nostro legame che è durato troppo poco, meno di un anno.

Caterina V., con qualche anno più di me, lavorava già, insegnava italiano e storia. Ci tengo davvero a descriverla anche se molto sommariamente, per farla conoscere un po’ di più.

Godeva, tra i suoi colleghi, di una grandissima stima; alcuni forse provavano anche un po’ di stizza, sentivano che non potevano essere alla sua altezza. Personalmente per me era la migliore fra tutti, ma il mio si può immaginare sia un giudizio di parte.

I suoi allievi ne avevano terrore, un terrore folle: era ferocissima con gli errori di grammatica, con una consecutio temporum disattesa, con una preparazione di una lezione raffazzonata.

Nello scritto, poi … è meglio non parlarne: il “5/6” (si indicavano così una volta i voti tra qualcosa più dell’insufficienza e qualcosa meno della sufficienza) era una chimera che si perseguiva durante tutto l’anno scolastico. I voti dei temi erano sempre dal 5 in giù: poveretti quegli allievi ai quali toccava Caterina!

Non si limitava al solo insegnamento, le sue erano anche lezioni di vita, di tolleranza: su una cosa era intransigente, correttezza e comportamento tra persone; tuttavia se qualcuno, cui (lezione di Caterina sull’uso di “cui” e “al quale”) avevi dato “moneta buona” ti ripagava con “moneta falsa”, eri autorizzato ad usarla anche tu, ma mai, assolutamente mai per primo.

Fortunatamente per me, dopo i primi incontri, si stabilì immediatamente un rapporto splendido, quasi idilliaco, che divenne presto una comunanza d’amorosi sensi.

Un po’ di pazienza, ancora, perché devo partire da lontano.

Siamo nell’ottobre del 1965 (anche se tanto tempo fa, tuttavia sono sempre quelli dell’Era Volgare). All’epoca dei fatti, di anni, ne avevo quindi sedici.

Avevo terminato la frequenza del biennio, propedeutico a tutte le specializzazioni, presso l’Avogadro di Torino e si trattava di fare una scelta definitiva, quella della specializzazione, per il triennio successivo. All’inizio la mia scelta era caduta sulla specializzazione nucleare; mi sembrava rappresentasse, per gli anni a venire, un’ottima scelta, soprattutto sotto il profilo del lavoro. Venni poi a sapere, informandomi con gli allievi più anziani, che le prospettive in Italia erano davvero scarse, forse addirittura nulle. Questa mia preferenza dell’epoca e immaginata per il mio futuro, non teneva conto di ciò che avrebbero comunque rappresentato dismissione e smaltimento del materiale fissile: semplicemente perché allora non se ne parlava affatto (ho poi votato contro l’uso del nucleare).

Alla luce della prospettiva che si era ormai ridotta ad un lumicino, decisi di cambiare specializzazione e scelsi le telecomunicazioni, che, almeno teoricamente, mi sembrava un’altra buona opzione per il mio avvenire lavorativo.

Quel giorno di ottobre noi, studenti che iniziavano la terza, eravamo stipati in attesa dell’assegnazione alle varie classi.

“Terza A meccanici”. Iniziava l’assegnazione di noi allievi alle classi, e dopo una sequela di trenta/trentacinque nomi di noi, la voce continuava: “Saranno accompagnati in classe dal loro insegnante di meccanica”.

Il gruppo si stava riducendo a mano a mano che trenta di noi andavano in classe con uno dei loro insegnanti, una classe dopo l’altra: si cominciava a stare più larghi, finalmente!

Toccava a noi, quelli che avevano scelto la specializzazione delle telecomunicazioni. Non mi chiamarono con la sezione A, non con la B.

“Terza C Telecomunicazioni”, l’ultima sezione, c’ero anch’io. “Saranno accompagnati in classe dalla loro insegnante di italiano, la professoressa Caterina V.”

SCOPRIAMO I POETI VOLPIANESI…..

giovedì 26 Aprile 2012

Mi è stata recapitata questa poesia   scritta da una volpianese  che  volentieri  trascrivo per tutti Voi.

P  A  C  E

Si predica e si canta pace   

da torri e bastioni agguerriti,

si tendono mani di pace

su mine e su fili spinati,

si indicano marce di pace

per vie dissestate dall’odio,

si firmano trattati di pace

appena di un giorno e una notte,

si scambia  l’abbraccio di pace

con labbra odoranti di sospetto,

di Giuda in agguato a tradire.

Eppure la pace è speranza

ancora nel cuore dell’uomo,

non segno che sfuma e dilegua

ai primi chiarori dell’alba,

da quando, appeso alla croce,

il vero fautore di pace ha gridato

“Padre, perdona a questi fratelli tuoi figli

che ancora non sanno”

(Domenica Bottino)

Se venite a conoscenza  dei volpianesi che  scrivono poesie , invitateli a trascriverle sul blog   o  provvedete  Voi blogger.

MONSIGNOR GILI E LA GUERRA

mercoledì 25 Aprile 2012

Articolo pubblicato dal numero unico stampato nel 1946 in occasione dei festeggiamenti per l’elevazione di Monsignor Gili a Vescovo di Cesena sull’epoca della seconda guerra mondiale quando era vicario a Volpiano.

Monsignor Gili e la guerra

La guerra l’abbiamo sentita a Volpiano nel richiamo alle armi dei figli migliori, nell’esodo dalla città di migliaia di persone in cerca di un riparo, nelle vittime e nei soprusi. Ed anche Monsignor Gili subì i danni e le ingiurie della guerra. Dopo aver aperto, con la stessa casa parrocchiale, i locali di tutte le associazioni a quanti cercavano affannati un’abitazione,si vide negli ultimi tempi occupati ancora quelle poche stanze che costituivano lo stretto necessario per la vita dei suoi giovani dell’azione cattolica. Il 12 febbraio 1945 entravano infatti i reparti della folgore di stanza a Volpiano e il 13 seguente, per ultime ingiuria, tutti i mobili della sede venivano gettati dalla finestra nel cortile sottostante. Data di un increscioso ricordo nella storia dell’associazione San Guglielmo. Anche i locali del salone parrocchiale erano già stati requisiti fin dal novembre 1944 dagli stessi elementi che ne gestivano il cinema. Ma altri episodi ben più importanti si devono inserire nella storia di Volpiano.

Chi non ricorda la domenica triste del rosario 1 ottobre 1944? Potevano essere le 13.15 quando tutto il paese tranquillo nella pace meridiana viene invaso dalle truppe repubblicane. D’improvviso in casa parrocchiale ci si trova dinanzi il colonnello B. che arma in mano impone al vicario di ritenersi come ostaggio. Bloccato il paese da ogni parte, passa soldataglia per ogni casa e con lanci di bombe a mano e spari di moschetto, forzava tutti gli uomini a radunarsi nella piazza antistante la chiesa. Ogni uomo deve presentare i propri documenti e dichiarare la propria posizione. Con Monsignor Gili sono scelte a caso altre sette persone che si vogliono indiziare come favorevoli ai partigiani.  Che era successo? Un tenente della g.n.r., certo D. era stato fatto prigioniero dai partigiani presso la cascina San Giorgio in quel di Settimo, e la macchina che l’aveva prelevato era stata inseguita sino a Volpiano dove era stata persa di vista. Dunque, si diceva, l’ufficiale deve trovarsi a Volpiano e doveva ad ogni costo  restituirsi nel termine di quarantott’ore, pena l’incendio del paese e rappresaglie sugli ostaggi. Contro la prepotenza non valgono ragioni. Inutili le lacrime di quanti si vedono privati dei loro cari. Dopo una perquisizione minuta nei locali della parrocchia, gli ostaggi sono fatti salire su un autocarro, il vicario fra una scorta armata prende posto sulla macchina del comandante della spedizione, e si parte per Settimo per rinnovare altri soprusi e altri pianti. La sorte di Settimo si accomunava così a quella di Volpiano. Mentre colà si rinnovarono le stesse scene di Volpiano Monsignor Gili, guardato a vista, poteva amministrare il sacramento della penitenza ad uno di quegli stessi ufficiali. E la dolorosa comitiva s’ingrossa e raggiunge a Torino la caserma Valdocco per venire al mattino definitivamente internati nella caserma Cavalli. Lasciato libero sulla parola, il vicario potrà ogni giorno celebrare la messa nella chiesa di San Secondo per poi ritornare con i suoi compagni di sventura. Intanto a Volpiano si prende contatto con i partigiani della zona e si viene a conoscere che il tenente D, era stato condotto a San Giorgio Canavese. Ci si procura perciò un primo abboccamento nella parrocchia di San Benigno col comandante M. che è disposto a porre in libertà il ricercato dietro rilascio dei partigiani prigionieri. A Torino non si accetta lo  scambio ma si pretende la consegna dietro la semplice liberazione degli ostaggi. Nuovo ultimatum con minacce di più severe misure. E l’aspettativa si fa più ansiosa e trepidante. Dopo sei giorni di incertezze e di angosce, tra ultimati e dilazioni, dopo insistenze e promesse viene liberato presso San Giusto in un’imboscata tesa dai suoi ai partigiani dai quali, per tener fede alla parola data veniva condotto nel luogo convenuto per essere consegnato. Così nel pomeriggio del venerdì gli ostaggi di Settimo e di Volpiano potevano trionfalmente ritornare alle loro case.

Lunedì 9 ottobre 1944.

Al mattino nella nostra chiesa funzione di ringraziamento per l’avvenuta liberazione. La popolazione interviene affollatissima per dare una prova di stima e affetto verso il suo pastore. Ma nel pomeriggio della stessa giornata incominciano ad affluire a Volpiano truppe tedesche che si stabiliscono nei locali delle associazioni e nelle scuole. Per prima cosa Monsignor Gili è nuovamente trattenuto come ostaggio insieme ad altri cinque internati in una stanza del comune ma i tedeschi si fermano fortunatamente poco a Volpiano e questa seconda prigionia dura soltanto sino alla sera di martedì 10 ottobre. Quando le truppe lasciano il paese tutti i fermati vengono rilasciati in libertà al mattino.

Domenica 29 aprile 1945

Quando si parla di capitolazione e tutto il paese è imbandierato a festa comincia sin dal mattino l’invasione delle forze tedesche  in ritirata. Il comando si accampa a Villa Alpis. Alle ore 11 Monsignor Gili è chiamato dai partigiani al ponte Bendola perché lo vogliono invitare a trattare la resa. Quando arriva al posto indicato non trova più nessuno. Alle ore 14 vengono fermati sulla strada Cebrosa, provenienti da Torino, cinque partigiani. Si tratta con i tedeschi che esigono un forte quantitativo di cibarie per la loro libertà. La popolazione si unisce al vicario per procurare quanto è richiesto. Alle ore 16 mentre Monsignor Gili sta per salire sul pulpito per la solita istruzione viene nuovamente chiamato al comando tedesco che vuole in serata 50 biciclette sotto minaccia di incendiare il paese se non sono immediatamente consegnate Si discute e si addiviene a più miti consigli. Verso le 17.30  nuova chiamata del parroco soltanto perché raccomandi a tutti di non usare rappresaglie contro le truppe in fuga. Alle ore 20 vengono portati in casa parrocchiale i cinque partigiani arrestati in giornata perché siano custoditi sino al mattino seguente. Continua per tutto il lunedì il transito dei tedeschi in ritirata, i vari comandi si stabiliscono a turni diversi in casa parrocchiale ove il viavai si sussegue ininterrotto fino al pomeriggio del martedì. Verso le ore 20.30 di questo stesso giorno due forti detonazioni a breve scadenza annunziavano che i tedeschi si erano tagliati la ritirata facendo saltare i ponti del Malone e dell’Orco.

E così la miseranda storia ebbe fine.

Da “Testo unico” – Tipografia Maccone presso biblioteca “Terra di Guglielmo”.

Franca Furbatto

UN SALUTO

mercoledì 25 Aprile 2012

Vorrei ricordare con un affettuoso pensiero e  saluto EDOARDA  che ci ha lasciati troppo presto.

Attiva  e  generosa  con tutti nei vari laboratori Unitre che frequentava con assiduità ed entusiasmo sentiremo tutti la sua mancanza.

Le quaglie farcite

mercoledì 18 Aprile 2012

Ci sono, a volte nella vita, cose che ti ricordi perché sono state significative e, seppur piccole, tuttavia ti hanno dato un insegnamento grande, che ti accompagnerà per sempre.

Questa è una di quelle: una storia di tanti anni fa, di quand’ero giovane. Una storia breve.

All’epoca dei fatti mi occupavo dello sviluppo commerciale di una rete di collaboratori. Uno di questi mi aveva creato quello che si definisce un problema, anche piuttosto importante. Erano ormai diversi giorni che mi arrovellavo attorno ad un appianamento della situazione che potesse essere sostenibile anche da parte sua, e i miei pensieri erano concentrati su questa idea, tanto da non accorgermi, quasi “non vedere” intorno a me le persone che mi circondavano e, soprattutto, quelle che mi volevano bene.

Quella sera ero arrivato a casa, forse anche un po’ più tardi del solito, ma era estate ed era ancora chiaro. Mi misi a tavola assorto nelle mie elucubrazioni e, senza neppure fare caso a quello che c’era nel piatto, iniziai la cena. Il secondo era qualcosa di un po’ diverso, non me ne curai e continuai a mangiare.

“E io che ho passato il pomeriggio a cucinare per te!”

Già, perché con le persone che ti vogliono bene, assumi comportamenti che a volte sono sconvenienti, quasi che tutto ti sia dovuto: le quaglie erano la dimostrazione dell’affetto di chi, pur avendone di propri, si era accorto dei miei problemi, e senza chiedere nulla, voleva testimoniarmi comprensione, vicinanza e condivisione.

Dalle quelle quaglie ho tratto un grande insegnamento: quando apri la porta di casa, richiudi fuori i problemi che non sono pertinenti la famiglia; quando qualcuno della tua famiglia rientra, vai verso di lui (o lei) per salutarlo; spalanca le braccia ai veri amici, ma tienile conserte con i falsi, con i bugiardi e con gli ipocriti; ma soprattutto apprezza “le quaglie” che qualcuno ti prepara.

Oggi chi mi aveva cucinato le quaglie non è più vicino a me come quella sera, e mi pento di non averne compreso in quel momento il vero significato: da allora non ne ho più mangiate, saranno le uniche così come unico è stato l’insegnamento.

Ed eccovi la ricetta.

Tre etti di tritato di vitello; la metà di salame (tritalelo a coltello il più finemente possibile), pancetta (almeno due fette per quaglia); parmigiano tritato (un cucchiaio per quaglia), un uovo, mezzo bicchiere di panna fresca, la mollica di un panino, due foglie di alloro, 40 grammi di burro, un bicchiere di vino bianco secco, una tazza di brodo (di carne o di verdura secondo le vostre preferenze). E le sei quaglie, magari un po’ cicciottelle.

Per il ripieno unite alla mollica, bagnata nella panna fresca e strizzata, il tritato di vitello, il parmigiano, il salame e l’uovo, impastate bene, salate e pepate.

Farcite le quaglie con il ripieno dopo averle salate e pepate (per chi vuole può disossarle aprendole dal dorso e togliendo le ossa della gabbia toracica) e avvolgetele nelle fette di pancetta, mantenendo (se disossate) la loro forma.

Soffriggete burro, due foglie di alloro e uno spicchio d’aglio; quando iniziano a profumare aggiungete e rosolate le quaglie, sfumatele con il vino bianco, abbassate il fuoco, togliete aglio e alloro, aggiungete il brodo e continuate la cottura per altri venti minuti.

Una buona compagnia sono patate al forno, o in pureé, vanno bene anche i funghi.

E quando le mangiate, ricordate di accompagnarle con il vino rosso, scalda i cuori!

Luciano G.

La mafia non esiste

mercoledì 18 Aprile 2012

Domenica 25 e lunedì 26 marzo, presso la sala polivalente, l’associazione Toto Teatro in collaborazione con l’informagiovani ha allestito una mostra multimediale con letture per tutti  e attività con le scuole. Purtroppo non sono riuscita a scriverne prima ma adesso che sono riuscita a recuperare anche qualche foto volevo fare i complimenti a questi giovani.

La mostra era particolare e veramente interessante, importante soprattutto, secondo me,  il lavoro con la scuola, ma anche gli adulti hanno  senz’altro trovato motivi di riflessione. Belle le letture come sempre. L’associazione è diventata una presenza importante in molte iniziative volpianesi, una risorsa per tutti.

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su pareti e tabelloni i post it colorati ci ricordavano i nomi delle vittime di mafia

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attività con una classe

E crescendo impari

giovedì 12 Aprile 2012

E crescendo impari che la felicità non è quella delle grandi cose.

Non è quella che si insegue a vent’anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi…

La felicità non è quella che affannosamente si insegue credendo che l’amore sia tutto o niente,…
non è quella delle emozioni forti che fanno il “botto” e che esplodono fuori con tuoni spettacolari…,
la felicità non è quella di grattacieli da scalare, di sfide da vincere mettendosi continuamente alla prova.

Crescendo impari che la felicità è fatta di cose piccole ma preziose….
…e impari che il profumo del caffé al mattino è un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone, le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina, la poesia dei pittori della felicità, che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane per sentire una felicità lieve.

E impari che la felicità è fatta di emozioni in punta di piedi, di piccole esplosioni che in sordina allargano il cuore, che le stelle ti possono commuovere e il sole far brillare gli occhi,
e impari che un campo di girasoli sa illuminarti il volto, che il profumo della primavera ti sveglia dall’inverno, e che sederti a leggere all’ombra di un albero rilassa e libera i pensieri.

E impari che l’amore è fatto di sensazioni delicate, di piccole scintille allo stomaco, di presenze vicine anche se lontane, e impari che il tempo si dilata e che quei 5 minuti sono preziosi e lunghi più di tante ore,
e impari che basta chiudere gli occhi, accendere i sensi, sfornellare in cucina, leggere una poesia, scrivere su un libro o guardare una foto per annullare il tempo e le distanze ed essere con chi ami.

E impari che sentire una voce al telefono, ricevere un messaggio inaspettato, sono piccoli attimi felici.

E impari ad avere, nel cassetto e nel cuore, sogni piccoli ma preziosi.

E impari che tenere in braccio un bimbo è una deliziosa felicità.

E impari che i regali più grandi sono quelli che parlano delle persone che ami…

E impari che c’è felicità anche in quella urgenza di scrivere su un foglio i tuoi pensieri, che c’è qualcosa di amaramente felice anche nella malinconia.

E impari che nonostante le tue difese,
nonostante il tuo volere o il tuo destino,
in ogni gabbiano che vola c’è nel cuore un piccolo-grande Jonathan Livingston.

E impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità.

( Anonimo )

A me ha riportato alla memoria il ricordo, di tanto tempo fa, di una corsa con una piccola auto verso il sud Italia.

Luciano G. 

MANIFESTAZIONI MESE DI APRILE 2012

sabato 7 Aprile 2012

 

da sab. 21 a martedi 24  GITA A SALISBURGO E BAVIERA   – organizz. Terra di Guglielmo

da mart. 24 a   sabato 28  MOSTRA DELLA RESISTENZA –  organizz. Amici del Passato   presso  Palazzo Oliveri

giov. 26  CONSIGLIO COMUNALE

da ven. 27 a domenica 30  MOSTRA – CONCORSO FANTASY    org.  Proloco-comune   presso Sala Polivalente

dom. 29  CORSO FIORITO     per le vie del centro   –  organizz.  Volpiano in Festa

venerdì 6 Aprile 2012

DIEGO VALERI

SONO GIORNI DOLCISSIMI

Sono giorni dolcissimi
questi che ci preparano le piogge
dolcissime di aprile. Luce bianca
filtrata da nebule bianche,
appena un sospiro di vento
che si sprigiona dal cuore del mondo.
In quest’ora del tempo
il vecchio mondo, come il vecchio Adamo,
ha un cuore giovanetto:
quel suo cuore (o Leopardi!) d’una volta.

(da Calle del vento, Mondadori, 1975)

SANDRO PENNA

SOTTO IL CIELO DI APRILE

Sotto il cielo di aprile la mia pace
è incerta. I verdi chiari ora si muovono
sotto il vento a capriccio. Ancora dormono
l’acque ma, sembra, come ad occhi aperti.

Ragazzi corrono sull’erba, e pare
che li disperda il vento. Ma disperso
è solo il mio cuore cui rimane un lampo
vivido (oh giovinezza) delle loro
bianche camicie stampate sul verde.

(da Poesie, 1939)

La Marca Anconetana

martedì 3 Aprile 2012

Uno scrigno di bellezze si estende dalla costa Adriatica ai rilievi Appenninici con una variegata offerta di beni culturali, attrazioni e risorse turistiche: stiamo parlando della Marca Anconetana. La vacanza si apre a infinite destinazioni: il mare, la cultura, la natura, la spiritualità, il gusto.

Ancona

La fondarono i greci siracusani nel 387 a.C.; il promontorio su cui sorge ha forma di gomito piegato e per questo la chiamarono Ancon, gomito. Proprio per questa caratteristica che la contraddistingue, Ancona è l’unica città italiana da cui si possano godere le suggestioni sia dell’alba sia del tramonto.

La storia di Ancona ha proprio inizio dal suo porto che diventa, nel corso degli anni, protagonista di scambi tra Oriente e Occidente, tanto da guadagnarsi l’appellativo di porta d’Oriente: un crocevia di genti e culture, e di questo passaggio ne è rimasto ancor oggi un segno tangibile.

Dalla cittadella sul colle Astagno e dai suoi possenti bastioni si ammira, come disse il padre dello scrittore Goethe, una delle vedute più belle del mondo non solo sulla città ma anche sui suoi dintorni.

Altro pregevole luogo è il Passetto: vista dal mare, la monumentale doppia gradinata che scende fino alla spiaggia ha l’aspetto di un’aquila con le ali spiegate; la spiaggia del Passetto si estende per quasi un chilometro in un’area rocciosa, suggestiva e “selvaggia”, caratterizzata dalla roccia bianca della scogliera e da un’atmosfera veramente tipica.

L’Arco di Traiano, una delle testimonianze monumentali più preziose delle Marche romane, ci introduce alla città più antica. Elegantissimo, in marmo turco (proveniente dalle cave dell’isola di Marmara) fu costruito in onore dell’imperatore che aveva ampliato, a proprie spese, il porto della città. Da qui lo stesso Traiano partì per la vittoriosa guerra contro i Daci, episodio riportato sui bassorilievi della colonna omonima a Roma. Il recente restauro ha ridato lo slancio e l’eleganza di un tempo a quest’opera che conserva un’aura di freschezza e un’anima che sembra non invecchiare mai.

Il Duomo

DuomoSalendo verso il colle Guasco, si incontra la Cattedrale di San Ciriaco, chiesa medievale unica in Italia per il suo stile che fonde arte romanica, gotica e bizantina. Sorta sulla sommità dell’antica acropoli greca continua dall’alto a vegliare sul mare.

Gli scavi eseguiti nel 1848 accertarono che sin dal III secolo a.C. esisteva un tempio dorico probabilmente dedicato ad Afrodite; infatti, dopo l’avvento del cristianesimo, i templi dedicati alle divinità pagane vennero trasformati per il nuovo culto. Sulle strutture del vecchio tempio fu edificata la basilica paleocristiana a tre navate con l’ingresso verso sud-est (dove attualmente è la cappella del Crocefisso) e dedicata a San Lorenzo. Ne rimangono tracce nel pavimento in mosaico e nelle mura perimetrali.

Tra l’anno Mille e il XIII° secolo, vengono eseguiti importanti lavori di ampliamento e ristrutturazione, trasformando la pianta iniziale della chiesa in croce greca, e rivolgendo l’ingresso verso il porto. Nel 1017 la popolazione trasferì all’interno della basilica i corpi di San Marcellino e di San Ciriaco. Tra il XIII e il XIV secolo la basilica è dedicata a San Ciriaco patrono di Ancona, martire e, secondo la tradizione, vescovo della città.

Duomo - InternoVari avvenimenti, nel corso degli anni, determinarono diversi interventi sulla basilica stessa. Già nel 1883 vi fu un primo restauro, successivamente fu bombardata dalla flotta austro-ungarica durante la Ia guerra mondiale e solo nel 1920 si tentò di riparare ai gravi danni patiti. Durante la seconda guerra mondiale subì pure i bombardamenti aerei degli anglo-americani che distrussero il transetto destro, la sottostante Cripta delle lacrime e i tesori artistici qui custoditi. Il transetto fu ricostruito con il recupero delle parti originali e nel 1951 il duomo venne nuovamente riaperto al culto.

Le traversie di questa chiesa non finiscono qui perché il terremoto del 1972 provocò nuovamente danni all’edificio che, dopo lavori di restauro e consolidamento, fu riaperto nel 1977.

Ancona, già centocinquant’anni in anticipo su Washington, si era dotata del suo “pentagono”: la Mole Vanvitelliana, che fa parte delle geniali opere portuali di Luigi Vanvitelli: il Lazzaretto, costruito su un’isola artificiale realizzata all’interno del porto dallo stesso artista e il molo nuovo il cui accesso, l’Arco Clementino, ancor oggi porta una nota di eleganza e di arte in mezzo alle gru e alle navi mercantili.

La Mole Vanvitelliana all’inizio era infatti destinata a lazzaretto per la quarantena di merci e persone che arrivavano in porto dall’Oriente. Oggi rappresenta, non solamente per la città ma anche per tutta la regione, un’importante punto di riferimento per le attività culturali e didattiche.

Per chi arrivasse dal mare il colpo d’occhio è davvero suggestivo: lo sguardo abbraccia tre simboli della città di diverse epoche della storia: l’arco vanvitelliano dell’Evo Moderno, il Duomo del Medioevo, e infine l’Arco di Traiano dell’Evo Antico.

Piazza del Plebiscito

Piazza PlebiscitoSe cercate questa piazza chiedete di piazza “del Papa”, per via dell’imponente statua di Clemente XII, che vigila e accoglie, in quello che a pieno titolo può essere considerato il “salotto cittadino”, una bellissima piazza accogliente e ricca di storia.

Sulla Piazza si affacciano la Chiesa di San Domenico, la già ricordata statua di Clemente XII, segno di riconoscenza della città al Pontefice che aveva concesso il porto franco, il Palazzo Mengoni Ferretti, il Museo della Città, la Torre Civica, il Palazzo del Governo, l’Atelier dell’Arco Amoroso, le fontane del secolo XV e XIX.

La Chiesa di San Domenico fu eretta nella seconda metà del ‘700; all’interno avremmo potuto ammirare una Crocifissione del Tiziano e una Annunciazione del Guercino, se fosse stata aperta. Di fronte al monumento a Clemente XII, si trova la fontana emiciclica decorata nella fascia superiore da effigi, che la leggenda attribuisce a teste di decapitati. Il Palazzo Mengoni Ferretti, iniziato nel ‘500, è sede della Biblioteca Comunale e racchiude un tratto di mura duecentesche.

Piazza Roma.

Questa piazza rappresenta un tradizionale luogo di incontro ed è lì che troviamo la fontana dei quattro cavalli. Ci spostiamo nelle immediate vicinanze per andare a vedere un’altra fontana detta delle tredici cannelle legata ad una leggenda che vuole che prima di partire si beva la sua acqua allo scopo di assicurarsi un buon ritorno.

Teatro delle Muse.

L’inizio della costruzione risale al 1827, di questa però ha conservato soltanto la struttura esterna e la neoclassica facciata a colonne ioniche. Infatti, durante la seconda guerra mondiale, il tetto fu parzialmente danneggiato da uno spezzone incendiario d’aereo e, in quella occasione, gli amministratori avviarono un progetto di demolizione e ricostruzione degli interni in stile moderno che fece molto discutere.

Risalendo verso il centro dalla via Vanvitelli, troviamo tre palazzi nei quali in epoche successive ebbe sede il governo del libero comune: il romanico Palazzo del Senato, il gotico Palazzo degli Anziani, quasi un grattacielo medievale, con la facciata principale rifatta nel Seicento e l’imponente prospetto verso il porto ancora originario, il rinascimentale Palazzo del Governo, affiancato dalla Torre civica.

Le note storiche, tuttavia non suffragate da prove, riferirebbero che il secondo fu costruito da Galla Placidia nel 425 d.C. e in seguito demolito dai Saraceni nel 839. L’edificio attuale venne eretto nel 1270 in stile romanico-gotico e successivamente trasformato. Costruito in un terreno scosceso, si presenta alquanto particolare nella sua forma architettonica. Era la sede storica delle Magistrature cittadine sin dall’Alto Medioevo e a partire dal XI secolo, con la nascita della Repubblica di Ancona, divenne il luogo dove si riuniva il Consiglio degli Anziani, da cui prende il nome.

Si compone principalmente di due fronti, uno occidentale, verso il mare, e l’altro orientale, verso la piazza antistante. Il fronte mare, alto ben sette piani, presenta il basamento ad arconi ogivali in pietra bianca del Conero. Il resto della struttura è in laterizi con finestre romaniche ad archetti incrociati. Il fronte piazza, alto appena due piani, conserva dei reperti architettonici originali ancora visibili, come il doppio ordine di logge ogivali in pietra del Conero, oggi murate; e la serie di pannelli scultorei con “Scene Bibliche”, di cui solo due superstiti.

Nel corso dei secoli, a seguito degli eventi più diversi, fu variamente danneggiato e più volte ricostruito; tuttavia siamo rimasti molto meravigliati che un “grattacielo del medioevo” sia in condizioni di così elevato degrado.

Dall’arte alla natura.

A pochi chilometri dal capoluogo marchigiano si trova il Parco Regionale Naturale del Conero che comprende un tratto di costa e un’ampia fascia collinare. Per chi ama alternare le giornate dedicate al completo relax, offerto dalla spiaggia, c’è l’opportunità, a piedi, in bici, a cavallo di andare alla scoperta di angoli immersi nel verde. Un’ottima soluzione, dopo una piacevole camminata in mezzo al bosco, è di rituffarsi nei paesini che sorgono nel territorio.

Sirolo

Un "vigolo di SiroloA 125 m. a picco sul mare, alle falde del Monte Conero si erge l’antico borgo fortificato di Sirolo che, oltre alle attrattive offerte dalle chiese, dai palazzi nobiliari, dall’arco medievale e dal “torrione”, unico fortilizio superstite a difesa delle mura, gode di un panorama mozzafiato. Basta percorrere il suggestivo viale di lecci che costeggia la piazza fino alla “Punta” e, in compagnia del pescatore che, immobile dal suo piedistallo, scruta le condizioni del mare, potrete spaziare con lo sguardo su tutta la riviera. A Sirolo una cosa da non perdere sono i “Vigoli” l’originario assetto viario medievale, in pieno centro, dove si possono ammirare case molto graziose con porticine e piccole finestre abbellite da fiori dai colori variopinti.

11 anni e 11 chiliProprio in una di queste viuzze ci siamo imbattuti in un micio di 11 anni che pesava ben 11 kg (praticamente è cresciuto aumentando di 1 kg ogni anno). Dopo averlo fotografato e accarezzato (neanche tanto), ha fatto capire alla proprietaria di voler rientrare in casa. In pratica, la signora ci ha spiegato che, per tutta l’estate il suo gatto era stato oggetto di coccole da parte di tutti i turisti che erano passati da lì. Probabilmente, dopo mesi e mesi di attenzioni, ora l’unica cosa che desiderava era di poter dormire e sognare, ovvero di dedicarsi a quella che sappiamo essere l’attività preferita da tutti i felini.

Monumento al pescatoreSirolo vanta, durante la stagione estiva, un cartellone teatrale molto interessante ed ha dedicato una sua piazza alla memoria del regista teatrale e d’opera Franco Enriquez, scomparso ad Ancona nel 1980, a soli 52 anni. Fu il compagno e il grande amore di Valeria Moriconi, attrice di cinema e teatro che era nata a Jesi. L’attrice, dopo la morte di Enriquez si legò ad un giornalista trascorrendo con lui molti anni sereni e lunghe estati nella sua casa al mare di questo grazioso borgo.

Numana

A Numana alta si arriva salendo “la Costarella”, una scalinata che conta ben 151 gradini, ingentilita da piante e fiori. Ci siamo regalati una sosta per prendere po’ di fiato e, scambiando quattro chiacchiere con i nativi, siamo venuti a conoscenza che, ad adornare queste abitazioni ci pensa il Comune che ogni anno provvede ad acquistare e a sistemare il tutto di tasca propria. Confesso che siamo rimasti meravigliati, non siamo abituati a sentire cose di questo genere.

La "Costarella"Un piccolo, verde arredo urbano sulla soglia di casa completamente gratuito con l’impegno, più piacevole che oneroso, da parte degli abitanti di aggiungere l’acqua nei vasi quando occorre. Questa iniziativa merita un plauso al Sindaco e a tutta la Giunta.

In cima la nostra fatica viene ricompensata dalla piazza dove sorge il bel Palazzo Comunale che fu edificato nel 1773 come residenza estiva dei vescovi di Ancona, poi acquistato dallo Stato nel 1911. Dopo essere stato utilizzato come opificio industriale per la lavorazione di fisarmoniche, nel 1983 diviene nuovamente sede municipale.

Ci spostiamo per andare ad ammirare la fontana costruita con vecchie pietre rinvenute prima del 1663 che fu voluta dai cittadini per dissetare i pellegrini di passaggio. Le sue cinque bocche prendono acqua da un vecchio cunicolo di epoca romana. Situato nella zona panoramica del paesino troviamo la “Torre” che si presenta come un arco avendo perso perso la sua fisionomia originale. E’ considerato quel che rimane della Torre dell’antica parrocchia di San Giovanni ed è molto importante in quanto unico resto medievale della città.

Vale la pena, prima di chiudere il resoconto di questa nostra breve vacanza, di parlare delle varie spiagge che il turista ha a propria disposizione. Grazie alla falesia calcarea del Monte Conero (572 metri sul livello del mare), qui fenomeni geologici di grande entità e l’azione erosiva del mare e del vento hanno modificato e modellato la costa, dando origine a calette, golfi e spiagge dai bianchi ciotoli. Ognuna di queste spiagge ha caratteristiche diverse, ciò che le accomuna è il mare blu cobalto; la più spettacolare, considerata fra le più belle d’Italia, è senz’altro la spiaggia delle Due Sorelle, così chiamata per i due grandi faraglioni posti nel mare e raggiungibile solo in barca.

Riteniamo di poter consigliare una vacanza in questo mare Adriatico dove la costa ha perso le sue caratteristiche di mare chiuso e dalle acque non proprio cristalline per dare il meglio di sé. Occorre tener conto che, esclusa ovviamente la Puglia, si deve partire da Trieste ed arrivare sino ad Ancona per potersi tuffare in acque così invitanti dove da anni sventola la Bandiera Blu Europea, un riconoscimento che viene assegnato ai Comuni che rispondono a specifici requisiti di natura sia turistica che ambientale.

Marina e Luciano