Archivio di Gennaio 2013

Il giorno della memoria – racconto da Una vita segnata – Goti Bauer

lunedì 28 Gennaio 2013

Goti Bauer, residente a Fiume, fu arrestata in provincia di Varese con il padre, anziano ed infermo ed il fratello, mentre cercavano di attraversare il confine italo-svizzero; rinchiusa nel campo di Fossoli, venne deportata ad Auschwitz. Fu liberata a Theresienstadt il 9 maggio 1945

Da libro di Goti Bauer, Una vita segnata, in Voci della Shoah, Firenze, 1996.

img-memoria01

” Dicevano che eravamo diretti ad un campo di lavoro; come avremmo potuto credere che dei bimbetti, dei neonati, dei malati servissero a questo scopo? Alle nostre domande non venivano date risposte plausibili; non era importante convincerci, era importante tenerci tranquilli perché non esplodesse il panico .

Eravamo stretti come sardine, più di cinquanta per vagone, ogni giorno più disperati, più rassegnati. Ricordo il ribrezzo per i primi pidocchi che ci trovammo addosso, le cimici intorno. Lo sferragliare del treno copriva i singhiozzi sommessi delle madri, non i pianti disperati dei bimbi. Avevano fame, avevano tanta sete, non avevano il minimo spazio per muoversi. Ricordo la  folle tentazione di fuggire che mi prese ad Ora, prima del Brennero, dove ci fecero scendere per qualche momento. Non osai. Cosa sarebbe successo agli altri, ammesso che vi fossi riuscita? Sì, perché secondo il codice nazista per ogni infrazione non pagava solo il colpevole ma quanti gli stavano intorno .

Il viaggio durò una settimana, la sera del 22 maggio arrivammo a Birkenau .

C’erano  anche le guardie SS con i cani lupo a controllare che tutto funzionasse e che la disciplina fosse rispettata. Quei cani erano addestrati apposta per azzannare i trasgressori.

La mia squadra fu per un certo tempo adibita alla bonifica di terreni paludosi sulle rive della Vistola. Il luogo era a parecchi chilometri da Birkenau: vi andavamo a piedi, in fila per cinque e guai a chi non teneva il passo. Dovevamo prosciugare la zona acquitrinosa, svuotandola a palate dalla melma e riempiendola di ghiaia che altre prigioniere ricavavano macinando pietre in grosse trituratici azionate a mano.

Qualche settimana dopo ci mandarono più lontano, a molti chilometri di distanza da Birkenau. Ci portavano nei camion, dovevamo approntare strutture difensive per l’esercito del “grande Reich”, in vista del fronte russo che si stava avvicinando. Eravamo nell’agosto del 1944 ed era già in atto la ritirata tedesca. Scavavamo trincee, un lavoro pesantissimo che diventava di giorno in giorno più tremendo via via che le condizioni climatiche peggioravano. In Polonia l’autunno e poi l’inverno arrivano molto prima che da noi, per cui al freddo, sotto l’acqua, vestite di stracci, con le SS sul bordo della fossa a controllare che la pala fosse abbastanza piena, era un indescrivibile supplizio. Non ci pensavano due volte ad aizzarti contro il cane e quando succedeva, la malcapitata veniva riportata al campo a braccia e quasi mai sopravviveva. In lontananza vedevamo una bianca casetta di contadini. Sembrava un miraggio, gente vi entrava, gente ne usciva: era la vita. Dal camino saliva un lieve filo di fumo: immaginavi la pentola sulla stufa, la famiglia riunita intorno al desco. Ricordo quella casa come il più grande desiderio che io abbia mai avuto: potervi arrivare, nascondermi, scaldarmi al tepore di quella stufa, passarvi il resto dei miei giorni.

A mezzogiorno c’era una sosta e ci veniva dato un mestolo di zuppa di rape. C’è chi sorseggiava quella brodaglia lentamente per farla durare più a lungo e chi invece la trangugiava in fretta perché non resisteva un minuto di più. Chissà cosa avremmo fatto per averne un altro mezzo mestolo, tanta era la nostra insaziabile fame.”

Pochissime sono le parole che si possono aggiungere al racconto di questa scrittrice, perché sorge in chi legge una profonda tristezza e ci pervade un senso di abbandono e di incredulità. La domanda é sempre la stessa: ” Come può un uomo arrivare a compiere, seppur comandato, efferatezze e violenza su altri individui, negando loro  la dignità di vivere e di morire da esseri umani ?”

Non ci sono risposte, ma soltanto la certezza che questi fatti sono avvenuti, e ancora avvengono, in altre parti del mondo, perpetrati per anni, sistematicamente, frutto di una rigorosa pianificazione da parte  di intere nazioni e uomini accecati da odio e follia, posseduti da un insano senso di supremazia. Sentimenti immondi, dilaganti, accettati e condivisi da alleati, paesi confinanti, grandi nazioni e dalla civiltà moderna, da ognuno di noi. Nient’altro che interessi economici mascherati da odi religiosi e guerre tra fazioni. Genocidi di uomini, donne, bambini e anziani gridano giustizia, rispetto e memoria da parte di noi tutti e delle nuove generazioni, affinchè il loro sacrificio non sia stato vano.

Franca

il giorno della memoria

domenica 27 Gennaio 2013

oggi è il giorno della memoria, memoria di cose così terribili e così “tante” che ogni anno quando vediamo quello che ci propongono attori e ragazzi delle medie c’è qualcosa di nuovo su cui meditare, qualcosa di nuovo da non dimenticare.

Bello quello che ci hanno presentato venerdì i ragazzi delle medie, davvero bravi sia nelle letture che nel video, che ci hanno ricordato quello che ha preparato l’olocausto e che anche in Italia ci sono stati campi di concentramento, Fossoli e Bolzano, e anche forni crematori come la Risiera di S. Saba. Brave anche tutte le insegnanti che non si stancano di ricercare e ragionare insieme ai ragazzi.

E visto che è il giorno della memoria ricordiamo anche tutte le altre vittime del nazifascismo; sto leggendo un libro che ricorda che al loro ingresso in Polonia repartispeciali delle SS avevano elenchi minuziosi di quanti dovevano subito eliminare: ebrei e comunisti ma anche commercianti, insegnanti, scrittori, preti, industriali…e altri che non erano nelle liste finirono lo stesso al muro come, tra i primi un gruppo di boyscout dai 12 ai 16 anni, e poi il prete che aveva voluto dare loro i sacramenti. Dice il libro “da quel momento il lavoro delle Einsatzgruppen, il cui racconto richiederebbe miglia di pagine può essere riassunto in tre lettere terribili ecc. Fino all’Unione Sovietica dove persino l’infinita ampiezza della parola eccetera non sarà più sufficiente.

Una cosa importante ci hanno ricordato i ragazzi delle medie, ci hanno parlato dei Giusti, quelli riconosciuti tali da Israele perchè, a loro pericolo, hanno salvato anche un solo ebreo. I giusti ci insegnano che si può resistere, che la solidarietà può vincere, che se esistono quelli capaci di vendere una vita umana in cambio di un pò di soldi e qualche chilo di sale, c’è chi, per difendere quella vita è disposto a rischiare la propria e quella dei suoi cari.

Classi Prime Ghirotti

domenica 27 Gennaio 2013

Ho provato un nuovo inserimento ma mi dice che il file non è compatibile. Provo a inviare la mail a Luciano che ho già allertato. P.S  fino a quando Gaspara non mi ha avvisata pensavo si vedessero le foto . Io dal mio pc le vedevo sul blog ma a questo punto credo si caricassero in automatico dal file.

Daniela

Da Cologno a Colono

sabato 19 Gennaio 2013

L’altra sera al Carignano

Lascio le parole del regista Mario Martone parlare dello spettacolo. “La serata a Colono è l’unica opera per il teatro di Elsa Morante, ispirata all’Edipo a Colono di Sofocle: pubblicata ne “Il mondo salvato dai ragazzini”, non è mai stata rappresentata.

“Carlo Cecchi ha vissuto accanto alla scrittrice il percorso dei diversi desideri di messa in scena di questo testo da parte di Eduardo De Filippo, Carmelo Bene, Vittorio Gassman, e ha immaginato di realizzarla egli stesso. Con Carlo abbiamo lavorato più volte insieme, e più volte abbiamo parlato de La serata a Colono: l’amore per questo testo ci spinge oggi a lavorare allo spettacolo.

“A me, che non ho avuto la fortuna di conoscere Elsa Morante, sembra di ascoltarla mentre con gli attori cominciamo a leggere il testo. Ed è una voce che non ha pari.”

Ecco – in breve – il motivo della rappresentazione teatrale e soprattutto quello di assistere ad una prima mondiale con una compagnia “formata da attori che hanno recitato con Cecchi e con me [Ndr: Mario Martone in prima persona], mentre Nicola Piovani e Sergio Tramonti lavoreranno alla musica e alle scene. Entrambi, e con loro Angelica Ippolito, hanno vissuto con Cecchi e con la Morante la straordinaria stagione del Granteatro: nell’incontro tra generazioni diverse rivive lo spirito di un gruppo”.

Il testo dal 1968 è stato il faro di riferimento per molti artisti, faro – tuttavia – cui mai nessuno ha osato avvicinarsi: ci sono voluti quasi cinquant’anni prima di portarlo in scena!

“Parodia” è il sottotitolo dell’opera della Morante a identificare la trasposizione dell’opera originale di Sofocle, anche se ne trasfigura il contenuto rovesciando diversità di tempi, luoghi, significati, quasi svuotando il senso mitico iniziale e, manipolandolo, caricarlo di significati moderni.

Diversi sono i piani di lettura del testo che nella trasposizione teatrale è rimasto identico a quello scritto dalla Morante. Unica variante è rappresentata dal Coro che è invisibile fisicamente (come precisa l’autrice) mentre nella resa teatrale diventa fisicamente visibile, quasi a dare concretezza e risposte ai pensieri di Edipo.

L’analisi dei linguaggi adoprati, e prestati al servizio dei personaggi, ne connota l’estrazione e l’influenza sociali, particolareggiati dai ranghi cui appartengono e dai ruoli che rappresentano, distinguendone modalità e mutazioni stilistiche nei diversi contesti in cui il personaggio stesso viene, a mano a mano, ad operare.

A solo esempio valga quelli adottati dai Guardiani: è burocratico-ospedaliero che mostra l’assoluta mancanza di sensibilità e delicatezza nei confronti del degente: “Si tratta d’una disposizione provvisoria. / Un posto da sistemarlo si rimedia senz’altro / dentro stanotte.” E più oltre: “Ma questo / che fa? Non muore mai!?”

O quello della Suora che da “tono mielato che si usa coi mentecatti o coi bambini” si fa saccente, duro, mettendo a nudo la vera indole e la completa integrazione in un mondo ospedaliero autoritario, coercitivo e con il proprio argot.

Alla domanda dell’ignorante Antigone “È … roba buona? […] C’è sostanza? eh?” replica “Perché discorri tanto? Che vuoi saperne, tu? / Lascia fare a chi sa. Tuo padre, dato il suo stato, / per ora lo alimentiamo con l’ipodermoclisi”..

Solo successivamente assume la dolcezza materna abbandonando la falsità e presunzione precedenti quando racconta la fiaba.

O quello dei medici improntato a quello asettico medical-burocratico-ospedalierese con un sigillo di impronta “secca ed impaziente” “Niente di nuovo” e poi “Si tratta d’una precauzione elementare / ed indispensabile, nell’interesse stesso / del malato”.

Solamente i linguaggi di Antigone e di Edipo raggiungono lirismi superlativi.

Antigone è “ragazzina selvatica e tremante sui 14 anni, però poco sviluppata per la sua età” e ancora dopo “una zingarella semibarbara e di pelle scura come lui / povera guaglioncella malcresciuta per colpa della sua nascita, che in faccia ha i segni dolci e scostanti delle creature / di mente un poco tardiva…”.

Molto lontana dal modello sofocleo nel suo portamento si esprime con un livello linguistico prossimo allo zero, caratterizzato da unità lessicali elementari e ripetitive (bei, bello, bella, cosa, cose, frebbe …).

“Le cose della scola…le cose della memoria io / ci faccio troppa fatica a ricordare” dirà al terzo Guardiano.

È pura, esente da colpa.

È consapevole della realtà umana del padre, il suo unico scopo è filiale: consola il padre con favole innocenti e piccole bugie. Straordinaria la riflessione che pronuncia alla fine del dramma, di tale profondità di sentimenti, la cui portata filosofico-esistenziale viene esaltata proprio con un linguaggio basico: “Pure se sono nata per dover morire – / sono contenta d’essere nata […] e specialmente a voi pa’ addeso che siete vecchio / io ci penzo che se non ero nata chi ci stava con voi per custodirvi che quello è disastro / per la vecchiaia di non averci gnisuna compagnia”.

Tuttavia è ben consapevole dell’ineluttabilità della sorte quando osserva che “come s’è nati bisogna morire che come la crapa campa d’erba / così la morte campa di gente”.

Edipo contrasta ogni altro linguaggio: è aulico, sovrabbondante, ondulante, distintamente metaforico, schizoide, quasi un monologo Joyciano in più riflessioni, mistico e misterico. La “lettera di raccomandazione di quell’altro dottore” è sintesi del personaggio: “Allucinazioni visive e / auditive mi-sconoscimenti di persone e di luoghi di-sorientato nel tempo … suicidio …clastomane … Logorroico … magniloquente … stereotipie verbali di stile pseudo-letterario … infiorato da citazioni classiche … Flusso verbale carat-teriz-zato da lunghe mo-no-die d’intonazione pseudo-litur-gica o epica … Contenuti de-liranti strut-turati”

Solo, da parte mia, alcuni spunti: la prima preghiera: “ O e-ter-no a-mo-re / stel-la del-le stel-le / sia lode a te, per le maschere as-sur-de e mor-ga-ne, che porti / a coprire la tua bellezza in-co-no-scibile / e per i titoli e pseudonimi fal-sari, che prendi, a nascondere la tua mae-stà in-nominata.”: quasi un Cantico dei Cantici.

“Il cervello è una macchina furba e idiota, che la natura ci ha fabbricato apposta / per escluderci dallo spettacolo reale, e divertirsi ai nostri equivoci. / Solo quando la macchina si guasta: nelle febbri, nell’agonia, noi cominciamo a distinguere un filo / dello scenario proibito. / Nella mia cecità spasmodica e corrotta adesso io vedo / cose nascoste alla innocente salute, / agli occhi intatti …”

“…OGGI DOMANI E IERI sono tre cavalli che si rincorrono / intorno alla pista d’un circo. […] E MORTE E NASCITA E MORTE E NASCITA E MORTE E NASCITA / questo motto ripetuto a caratteri uguali senza virgole né punti / è stampato lungo il cerchio d’una ruota” È un linguaggio con una variegata fluttuazione di registri linguistici: da quello letterario e altisonante ed accesamente metaforico, a quello umile e quotidiano, gremito di riferimenti a situazioni e luoghi del passato mitico o biblico e della contemporaneità, con un vasto ambito di personaggi, da quelli della favole e dei miti a quelli moderni ed attuali.

E la contaminazione culturale è universale: da antichi canti Aztechi ad un vecchio blues, dall’Inno dei Morti ebraico al Vangelo, dai Veda al Corano.

E chiudo con “O notte / notte, mia casa beata, notte mio primo latte mia dolcezza, perché non torni a consolarmi […] / Tu, o pietà, tu, o riposo, / aiutami GIOCASTA!! / Giocasta aiutami / tu / mamma!!” perché potrà trovare riposo solo nella dissolvenza della notte eterna.

Carlo Cecchi, Antonia Truppo e Angelica Ippolito sono semplicemente straordinari. Fino 27 gennaio è al Carignano: una sera spegniamo Cologno e accendiamo Colono

Luciano Garombo

CONCORSO DI POESIE UNITRE – tema: LA MIA TERRA

domenica 13 Gennaio 2013

il concorso è  aperto a tutti ed è diviso in due sezioni:

–  poesie in italiano

–  poesie in dialetto

Ogni iscritto potrà presentare  al massimo due opere per ogni sezione .

 dovranno essere spedite a:

 Unitre – Volpiano c/ Residenze Anni Azzurri – via Bertetti 22 – 10088 VOLPIANO e pervenire entro il 6 maggio 2013

in quattro copie dattiloscritte di cui tre rigorosamente anonime , mentre la quarta che dovrà riportare nome,cognome,indirizzo, recapito elefonico  ed eventuale  e-mail sarà da inserire  in una busta chiusa nello stesso plico.

La premiazione avverrà nel mese di giugno 2013  durante la manifestazione VOLPIANO PORTE APERTE.

un’ apposita giuria giudicherà le opere e determinerà i primi tre classificati per ogni sezione. Saranno inoltre istituite segnalazioni e menzioni speciali.

Per ulteriori informazioni  visitate il sito www.unitrevolpiano.it  o telef. al 339/4401676

MANIFESTAZIONI DEL MESE DI GENNAIO 2013

domenica 13 Gennaio 2013

dopo  un fine anno impegnatissimo un po’ di pausa.

sab. 5  Rappresentazione teatrale a cura  di  AVIS/AIDO   ore 21  Sala Polivalente .

dom. 6  Teatro e poesie  c/ Resid. Anni Azzurri  ore 15,30 a cura del gruppo teatrale Unitre  – seguirà merenda

dom.  6 Tombolata della Befana  organizzata dalla Pro Loco c/ Sala Polivalente  oe 14,30

 dom. 6  chiusura  della mostra Presepi dal mondo  e del Presepio meccanico 

dom. 13   Pomeriggio danzante  c/ Sala Polivalente  oer 15  organizz. Volpiano in Festa 

ven. 25   GIORNO DELLA MEMORIA – Per non dimenticare  –  ore 21 rappresentazione dei ragazzi della Scuola Media  S..Polivalente 

sab. 26   ARANCE  DELLA SALUTE  – piazza del Comune   vendita delle arance per la ricerca –  AIRC

dom. 27 Pomeriggio danzante  dalle ore 15  c/ Sala Polivalente    organizzione  Volpiano in festa

il gruppo di teatro dell’Unitre

sabato 12 Gennaio 2013

Domenica scorsa agli Anni Azzurri c’è stata la prima esibizione del gruppo di teatro dell’Unitre, eccovi la loro foto e auguri al gruppo per il loro lavoro!recita unitre

da “Il manoscritto ritrovato ad Accra” di Paulo Coelho

lunedì 7 Gennaio 2013

14 luglio 1099. Mentre Gerusalemme si prepara all’invasione dei crociati, un uomo greco, conosciuto come Il Copto, raccoglie tutti gli abitanti della città, giovani e vecchi, donne e bambini, nella piazza dove Pilato aveva consegnato Gesù alla sua fine. La folla è formata da cristiani, ebrei e mussulmani, e tutti si radunano in attesa di un discorso che li prepari per la battaglia imminente, ma non è di questo che parla loro il Copto: il vecchio saggio, infatti, li invita a rivolgere la loro attenzione agli insegnamenti che provengono dalla vita di tutti i giorni, dalle sfide e dalle difficoltà che si devono affrontare. Secondo il Copto, la vera saggezza viene dall’amore, dalle perdite sofferte, dai momenti di crisi come da quelli di gloria, e dalla coesistenza quotidiana con l’ineluttabilità della morte. Il manoscritto ritrovato ad Accra è un invito a riflettere sui nostri princìpi e sulla nostra umanità; è un inno alla vita, al cogliere l’attimo presente contro la morte dell’anima.

Vorrei condividere con Voi il capitolo sulla ” Lealtà ” da “ Il manoscritto ritrovato ad Accra” – Paulo Coelho,  invitandoVi a leggere il libro con gli occhi dei  nostri giorni, scoprendo l’ attualità e la modernità di certi argomenti e l’universalità di valori e sentimenti, preziosi compagni di tutti i tempi. Per certi versi, il libro, ricorda “Il Profeta” di Gibran Kalhil, pur trattando altri temi altrettanto universali. Buona lettura!

–   Un uomo che cercava freneticamente di annotare tutte le parole del saggio nato ad Atene ha sollevato il capo, rivelando uno sguardo da trance. La piazza, i volti esausti, i religiosi che ascoltavano in silenzio… Tutto sembrava appartenere a una visione onirica. Nel tentativo di convincersi che quella scena era reale, chiese: “ Cos’è la lealtà?” Il Copto rispose: “La lealtà può essere paragonata a un negozio dove si vendono vasi di porcellana pregiatissimi, la cui chiave è stata consegnata dall’ Amore.

La bellezza di quei vasi risiede anche nella loro unicità. Sono diversi come gli uomini, come le gocce di pioggia, o come le rocce incastonate nelle montagne.

Può accadere che, per un’ingiuria del tempo o per un improvviso cedimento, alcune mensole crollino. E allora il proprietario del negozio si dice:” Per anni, ho investito tempo, amore ed energie in questa impresa, ma ora i vasi mi hanno tradito, e si sono fracassati sul pavimento”.

Decide di vendere la bottega e partire. Diventa un solitario, carico di amarezze: pensa che non potrà fidarsi più di niente e di nessuno.

“Di certo, appartiene all’eventualità dell’esistenza che alcuni vasi possano andare in frantumi, distruggendo una sorte di implicito patto di lealtà con il prossimo. In tal caso, è meglio spazzare i cocci e gettarli nei rifiuti, perché ciò che si è rotto non tornerà integro.

In altre occasioni può succedere che le mensole si schiantino per cause incontrollabili: un terremoto, l’irruzione di un manipolo di guardie, la disattenzione di un cliente spaesato.

In quel momento, le persone presenti nel negozio si incolpano vicendevolmente per il disastro. Tutti strillano:” Era un danno prevedibile, oppure:” Se fossi stato il bottegaio, una simile situazione non si sarebbe mai verificata!”

“Niente di più falso! Ogni essere umano è prigioniero delle sabbie del tempo, e taluni eventi si sottraggono al suo controllo”.

“Dopo qualche tempo, le mensole vengono ripristinate”.

“Altri vasi le occupano, rendendosi visibili al mondo. Consapevole della caducità delle cose, il nuovo proprietario del negozio considera:” Un incidente si è trasformato in un’opportunità, e io ne ho approfittato. Mi trovo nella condizione di beneficiare di meraviglie delle quali non sospettavo nemmeno l’esistenza”.

La bellezza di una bottega di vasi di porcellana é affidata alla singolarità di ogni manufatto. Allorché vengono esposti uno accanto all’altro, ciascuno rivela una propria armonia ed esterna le fatiche del vasaio e l’ arte di chi l’ha dipinto.

“Nessuno di essi, però, potrà dire:” Qualora non mi venga assegnata una collocazione prestigiosa, lascerò questa mensola”. Infatti, se cercherà di passare all’azione, si trasformerà in un cumulo di cocci senza valore.

“È qualcosa che riguarda i vasi, ma anche gli uomini e le donne. E i popoli, e le navi, e gli alberi e le stelle”.

“ Allorché arriveremo a comprendere tutto questo, al calar della sera potremmo tranquillamente sedersi accanto al nostro vicino, per ascoltare le sue parole e replicare con quelle frasi che spera di sentire. Di certo, nessuno cercherà di imporre le proprie idee all’altro”.

“Al di là delle montagne che dividono i popoli, al di là delle dimensioni che separano i corpi, esiste la comunità degli spiriti, alla quale tutti noi apparteniamo. Non esistono cammini ridondanti di parole inutili, laggiù, ma i viali che uniscono ciò che è distante, strade mentali che, di tanto in tanto, devono essere riparate per via dei danni causati dal tempo”.

“In quel mondo, l’amante che ritorna dall’amato non verrà mai guardato con diffidenza, giacché i suoi passi saranno guidati dalla lealtà e l’uomo che fino a ieri, era considerato un nemico, ritroverà l’amicizia più sincera, poiché la guerra è finita e la vita continua”.

“E il figlio perduto ritornerà sempre, arricchito dalle esperienze vissute lungo la strada. Il padre lo accoglierà felice e ordinerà ai servitori:” Vestitelo dell’abito più bello, infilategli un anello prezioso al dito e morbidi sandali ai piedi. Perché il mio figliolo era morto, e ora di nuovo vivo; si era smarrito, e l’ho ritrovato”.

Franca.S.Sepolcro