Ieri ho ricevuto da un amico un racconto autobiografico con il quale forniva un ricordo personale di quel tragico 13 febbraio 1983, quando a Torino andò a fuoco il cinema “Statuto”, storica sala della città. Nella tragedia perirono 64 persone, un dramma per le famiglie, per la città intera, che si rinchiuse nel dolore accanto ai familiari delle vittime. Il cinema era stato rimesso a nuovo da poco, ottenendo la certificazione per l’agibilità dell’esercizio. Pare che la causa sia stato un cortocircuito, le cui scintille avevano dato fuoco a un tendone, caduto poi sulle poltrone, che erano andate a fuoco, a loro volta. Gli spettatori accortisi dell’incendio avevano tentato di uscire, ma le porte di sicurezza, cinque su sei erano sprangate per impedire l’ingresso dall’esterno. Gli spettatori in sala, un centinaio, avevano cercato la fuga allora dall’ingresso principale, ma purtroppo molti furono soffocati dal fumo: l’ossido di carbonio che si era sprigionato dalla combustione delle poltrone, in poliuretano espanso, usate per l’arredamento. Fu una tragedia, si pensò a un piromane, anche perché nel giro di poco tempo, nel giugno dell’82 andarono a fuoco tre cinema della città : l’Astor, l’Ambrosio e l’Augustus, ipotesi poi smentita. Gli imputati furono undici, sei le condanne per omicidio colposo plurimo: il proprietario del cinema, l’impresa che eseguì i lavori di ristrutturazione, il tappezziere, l’operatore, mentre fu assolto per insufficienza di prove l’elettricista. Il proprietario fu costretto a chiudere e a indennizzare i 250 familiari delle vittime, che si costituirono parte civile, per una cifra pari a tre miliardi di lire. Passò i suoi ultimi anni lavorando come maschera al cinema Romano e trasferendosi poi in Liguria, lontano da Torino.
Molte sono le riflessioni che il racconto ci suggerisce!
Franca Furbatto
Racconto di Francesco Giordana che Vi propongo qui di seguito
SAMARCANDA
“Dopo questa abbondante nevicata é finalmente uscito il sole. Ho proprio voglia di fare una bella sciata in neve fresca! Domenica andiamo a Chamoix”.
Quel plurale “andiamo” includeva Cristina, l’amore e prima ragione della sua vita, con la quale si era sposato appena due mesi prima. Enrico, quarantacinquenne aitante, bello e sportivo, si era conquistato la fama, peraltro assolutamente meritata, di scapolone impenitente, di sciupa femmine. Poi, improvvisamente, sul finire dell’anno appena passato, aveva clamorosamente sconfessato il personaggio costruito negli anni con tanta cura ed aveva sposato Cristina, una ragazza dolce, col viso da fatina del bosco e con la grazia e le movenze di una principessa delle fiabe.
L’evento, accolto con stupore e soddisfazione da parenti e amici, aveva inciso profondamente sul carattere di Enrico e sul suo comportamento, anzi, sul suo intero approccio alla vita.
Così, l’entusiasmo col quale aveva illustrato il programma ludico per la domenica successiva non aveva sorpreso Franco, ben lieto che l’amico solitamente tenebroso e solitario sprizzasse entusiasmo e gioia da tutti i pori.
Quel venerdì pomeriggio Franco ed Enrico si erano dati appuntamento al bar Fiorio di via Po, sia per motivi di lavoro (Franco responsabile della comunicazione di una grande azienda delle Partecipazioni Statali ed Enrico, giornalista della RAI dovevano concordare tempi e modi per una intervista all’Amministratore Delegato…), sia per approfittare dell’insolita e gradita occasione per rivivere insieme il tempo passato.
Franco ed Enrico, infatti, avevano cominciato la loro avventura giornalistica una quindicina di anni prima presso un Gruppo editoriale che realizzava alcuni periodici di portata locale ed avevano a lungo lavorato gomito a gomito sulle stesse pagine.
Poi, la loro storia professionale aveva imboccato strade diverse. Enrico alla RAI e Franco, dopo alcuni anni di attività nel principale quotidiano sportivo della città, era approdato al grande mondo della comunicazione aziendale ed ora, dopo un percorso alquanto tormentato, era il Capo Ufficio Stampa della SEAT, l’azienda delle Pagine Gialle.
“Ti ricordi le piste di Chamoix?” E come potevano dimenticarle? Per Enrico e Franco Chamoix, la località in Valsavaranche non raggiungibile in auto, aveva conservato un valore quasi mitico. D’inverno, poi, la neve che ricopriva un paesaggio fiabesco e incontaminato esaltava il distacco dal resto del mondo.
Mentre Franco, che non era mai stato un grande sciatore, aveva da tempo tradito la montagna col mare della Riviera ligure, spinto anche dalla presenza dei genitori ormai stabilmente residenti a Santo Stefano, Enrico non aveva mai rinunciato alla stagione sciistica invernale. Appena si presentava l’occasione, saltava in macchina e raggiungeva la funivia che portava ai 1800 metri di Chamoix.
“Certo che ricordo quei luoghi e quei tempi, ma sono passati tanti anni e per me Chamoix è ormai solamente una bella cartolina degli anni ‘60. Ora ho famiglia e le mie mete vacanziere sono Bardonecchia per l’inverno, così i figli possono sciare con maggiore tranquillità su piste più facili e accessibili, e Santo Stefano per l’estate.
I programmi del weekend che si prospettava meteorologicamente favorevole erano quindi assolutamente divergenti: Franco in Riviera con la famiglia ed Enrico in Val d’Aosta con Cristina.
Per una mezz’ora si rituffarono nel passato, poi concordarono rapidamente tempi e modi dell’intervista all’Amministratore Delegato e si salutarono con un caloroso abbraccio. Si sarebbero rivisti la settimana seguente negli studi della RAI.
Purtroppo le previsioni del tempo si rivelarono ottimistiche, tanto che il cielo coperto e la temperatura piuttosto rigida per il mese di febbraio non contribuirono a rendere particolarmente gradevole e rilassante il fine settimana in Riviera e già nel tardo pomeriggio della domenica Franco rientrò in città con la famiglia. Giunto in piazza Statuto, dovette fermarsi per lasciar passare numerosi veicoli di soccorso con luce blu lampeggiante, mentre le sirene delle auto della polizia e dei Vigili del fuoco si inseguivano sotto i fiocchi di una lieve nevicata.
Attese con pazienza il via libera dai Vigili Urbani e poi ripartì con direzione casa.
Qui, la voce e le immagini del televisore, sintonizzato sul telegiornale regionale, lo colpirono a causa della drammaticità del racconto.
“Nell’incendio scoppiato nel pomeriggio al cinema Statuto si contano ormai decine di vittime. I soccorsi, pure intervenuti sul posto dopo pochi minuti, sono stati frenati dal fumo acre e velenoso che aveva invaso il locale. Ci riferiscono che nei locali più interni sono stati rinvenuti numerosi corpi inanimati. Una valutazione complessiva della situazione sarà possibile solamente quando i locali saranno stati completamente evacuati.”
E poi il giornalista informava che allo Statuto si stava proiettando il film francese “La capra” con protagonista l’attore Gerard Depardieu.
Le stesse tragiche immagini rimbalzarono poi sui telegiornali nazionali, ogni volta arricchite di nuovi agghiaccianti particolari.
Quel giorno, nel cinema Statuto di via Cibrario si contarono ben 64 vittime, in gran parte soffocate dai miasmi provocati dalla combustione dei materiali plastici usati per il rivestimento delle poltrone e delle pareti.
Quella notte Franco rivide in sogno le tragiche immagini del disastro e gli parve anche di sentire nell’aria l’odore acre della combustione.
Il giorno seguente, San Valentino, raggiunse l’ufficio con un certo ritardo poiché prima era passato dal fioraio di Piazza Adriano per ordinare il mazzo di rose rosse da portare a Maria la sera. Erano da poco passate le nove quando squillò il telefono e la voce bassa e spenta di Bruno, collega giornalista della RAI, lo colpì allo stomaco: “Enrico e Cristina sono morti nell’incendio dello Statuto. Ora li hanno portati all’obitorio. Non si sa ancora quando si faranno i funerali, ma io ora vado a casa dei genitori.”
“Vengo anch’io” riuscì a rispondere, mentre l’emozione provocata dall’annuncio inaspettato gli stringeva la gola “qual è l’indirizzo?”.
A casa dei genitori di Enrico un gruppo numeroso di amici e di colleghi di Enrico cercava in qualche modo di confortare due vecchietti, dimessi, piegati e quasi stroncati dalla violenza della notizia.
Franco non riuscì a trovare la forza d’animo per affrontare direttamente la situazione e si avvicinò a Bruno, che, in un angolo del salotto si sforzava di coordinare la disponibilità degli amici.
Quando si accorse della presenza di Franco, gli si avvicinò e gli passò un braccio sulle spalle.
“Quando si dice il destino! Certo che alle volte è beffardo e crudele. Pensa che, ieri mattina, Enrico e Cristina sono partiti alla volta di Chamoix, decisi a trascorrere la giornata sulle nevi dei duemila metri. Giunti a Corgnolaz, alla base della funivia che collega la strada statale con il villaggio, hanno trovato l’impianto bloccato a causa di un guasto improvviso. Così, nell’impossibilità di salire, hanno deciso di far ritorno a Torino. Si sono invitati a pranzo dai genitori di Enrico e poi, dopo un breve riposino, sono usciti per una passeggiata. In via Cibrario hanno visto le locandine del film La Capra e sono entrati nel cinema…” Si fermò, quasi a riprendersi dall’emozione e cercò gli occhi di Franco.
Tre giorni dopo, ai funerali di Stato ai quali partecipò anche il Presidente Pertini, confuso in una folla tanto numerosa da non poter essere contenuta dalla Piazza del Duomo, Franco ebbe tempo e modo di considerare l’imponderabilità del futuro, mentre non riusciva a scacciare dalla mente le parole della canzone Samarcanda, nella quale, solo pochi anni prima, il cantautore Vecchioni aveva fermato i contenuti del concetto “Destino”.