La magia delle OGR: architettura d’autore e capolavoro dell’architettura industriale piemontese.

La mostra fotografica che ci accoglie lungo la cancellata e il muro delle ex Carceri Nuove è stata curata dal Museo Ferroviario Piemontese.

È un racconto per immagini su cosa e su com’erano le Officine Grandi Riparazioni prima della loro chiusura. Si è preferito allestirla al loro esterno in modo da mantenerla visibile per l’intera durata delle manifestazioni legate al centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia.

Questa è la storia di una fabbrica rimasta invisibile ai più finché attiva, come tanti altri luoghi di lavoro i cui muri celano quanto avviene al loro interno. Ora per le OGR è iniziata una nuova vita: i visitatori hanno l’opportunità di scoprire, oltre alla bellezza degli edifici, anche le storie di vita e di lavoro che qui si sono intrecciate per lunghi anni fra operai orgogliosi del loro “saper fare” e ingegneri che misuravano i loro saperi.

Le OGR sorgono a fine Ottocento sulla tratta di collegamento tra Porta Nuova e Porta Susa, sostituendo quelle già esistenti nelle due stazioni. Occupano un’area di 190.000 metri quadrati e, fino al 1911, furono il più grande stabilimento di Torino con circa duemila addetti. Verranno chiuse nel 1992.

L’aggregazione di persone di diversa provenienza favorì l’integrazione delle molteplici culture inserendo le Ferrovie in quel rivolo, mai del tutto concluso, di costruzione dell’unità nazionale. Il perseguire un unico obiettivo e le caratteristiche delle lavorazioni che, seppur industrializzate, erano lontane dal lavoro alienante della catena di montaggio, hanno fatto il resto.

Forse vale la pena ricordare cos’era l’industrializzazione ai primi del Novecento: Torino ed Ivrea hanno rappresentato, seppur in epoche diverse, la mentalità progressista ed illuminata dei suoi Imprenditori, i Leumann e gli Olivetti. Così dobbiamo farci aiutare dall’immaginazione per apprezzare meglio questa prospettiva di edifici; austere ed eleganti le loro facciate, ai tempi del loro massimo splendore, si mostravano immerse in una vegetazione curata e rigogliosa arricchita da una fontana zampillante in cui nuotavano le trote.

In alcuni reparti il frastuono era assordante, tuttavia il progetto generale dell’impianto industriale tenne conto di questo fatto: il rumore veniva praticamente assorbito dagli spessi muri di mattoni e dalle piante di alto fusto: fuori dalla fabbrica si poteva sentire il canto degli uccellini.

La parte superiore degli edifici ci rimanda invece a quel tipo di architettura propria dell’Inghilterra di fine Ottocento con le sue fabbriche tessili in piena rivoluzione industriale. Le grandi finestre, disposte una accanto all’altra sui due piani, conferiscono alla struttura l’aspetto di quelle che – nel Medio Evo – erano chiamate anch’esse Fabbriche, le Cattedrali Gotiche. Dall’interno, proprio come succede nelle chiese, possiamo assistere a quei giochi di luce creati dai raggi del sole che, attraverso le vetrate, come sottili lame vanno ad illuminare l’immenso contenitore di storia e cultura allestito per celebrare l’Unità d’Italia.

A questo punto vale forse ricordare cos’hanno rappresentato le OGR nel contesto del nostro territorio.

Torino, dopo quattrocento anni, aveva perso il suo status di capitale e la propria identità che, proprio in Torino capitale, si riconosceva. La corte  e i suoi apparati amministrativi e burocratici l’avevano abbandonata, e questo aveva comportato, come risvolto economico e sociale, una gravissima depressione dell’economia locale: se voleva sopravvivere, Torino doveva re-inventarsi, cercando una nuova vocazione. La Municipalità mise in atto un’abilissima politica per attrarre gli investimenti per la nascente industria; furono migliorati i collegamenti ferroviari, si diffuse la scolarizzazione, fu impostata una efficace assistenza sociale.

L’Italia, in poco meno di un quarto di secolo, era passata da una frammentazione di stati, staterelli, ducati a presentarsi alla ribalta europea come uno Stato unitario che si proponeva diventare protagonista economico, oltre che politico. L’unificazione dello stato comportava anche l’unificazione dei territori:  vengono sviluppate le grandi infrastrutture per i collegamenti dal nord al sud. Lo sviluppo di una rete ferroviaria di vaste proporzioni presupponeva tuttavia anche l’assistenza e soprattutto la manutenzione e riparazione del materiale rotabile.

In questo contesto economico nascono le Officine Grandi Riparazioni un centro di avanguardia funzionale al potenziamento degli scambi delle materie prime e i prodotti industriali: l’area individuata è quella della periferia ovest della città, dove sono presenti strutture pensate e realizzate nell’ottica, assolutamente non miope, di uno sviluppo anche successivo

Proprio per le esigenze delle maestranze che operavano nelle Officine, nacque il primo agglomerato abitativo di quello che sarebbe poi diventato il popoloso ed operaio Borgo San Paolo.

La manutenzione del materiale rotabile presupponeva una serie di capacità che abbracciavano un po’ tutte le specializzazioni di allora: erano necessari i falegnami, i battilastra, i meccanici, gli arredatori: erano una manodopera specializzata quella richiesta, ma erano anche operai orgogliosi di fare parte di questo grande complesso industriale.

Essere ammessi a quello che possiamo ora chiamare “periodo di prova” già riconosceva di fatto la specializzazione dell’operaio che doveva, in ogni caso per l’assunzione definitiva, presentare il cosiddetto “capolavoro”, ovvero un manufatto industriale caratterizzato da una lavorazione di alta precisione.

Questa “elite” operaia, super specializzata ed orgogliosissima, ebbe anche un “compito” storico: fu probabilmente proprio per questo contesto, e conseguentemente il differenziarsi dal resto della manodopera non qualificata che all’epoca rappresentava ancora una larga fascia della popolazione operaia, che divenne altissima la politicizzazione e la sindacalizzazione.

Nacque nel Borgo San Paolo, il “borgo rosso” di Torino, la prima diffusa affermazione del socialismo; insieme ai quartieri Lingotto e Mirafiori rappresentava quell’urbanizzazione industriale che caratterizzò Torino dalle sue origini industriali fino a qualche decennio fa e saranno proprio queste agglomerazioni urbane a tracciare la lotta del movimento operaio torinese.

Gli scioperi dell’agosto del 1917, durante la prima esperienza terribile di guerra mondiale, vedranno un’attiva partecipazione degli abitanti di Borgo San Paolo; nel 1920 saranno i realizzatori di un proprio esperimento socialista, l’occupazione e l’autogestione delle fabbriche. Sotto l’influsso di Gramsci, sarebbero arrivate in modo significativo le prime adesioni al partito comunista d’Italia. Anche sotto il fascismo, il “borgo rosso” si distinse in modo particolare dando vita ad un forte antifascismo ed una fortissima adesione al movimento della Resistenza.

Anche gli scioperi degli anni 60 e 70 videro gli abitanti di Borgo San Paolo particolarmente impegnati nelle lotte operaie: la sede di una delle grandi aziende automobilistiche italiane, la Lancia, era proprio qui.

Ritorniamo però alle tre mostre che sono capaci di suscitare tra il pubblico curiosità e forti emozioni.

“Fare gli Italiani”: c’è tutta l’Italia con il suo passato, un percorso nel tempo per comprendere il processo attraverso il quale, fatta l’Italia, occorreva fare anche gli Italiani, superando le diversità, favorendo l’aggregazione e mitigando le divisioni.

E il presente ci conduce verso “Stazione futuro: qui si rifà l’Italia” dove la fantascienza s’immagina diventare presto la realta, dai trasporti elettrici, all’architettura bioecologica, sconfitta di molte malattie.

Infine il futuro nelle mani “Artieri domani”, l’artista-artigiano, che ci riporta alle esposizioni del 1911 e 1961 con laboratori progetti architetture e creazioni, ponendo in primo piano l’eccellenza artigianale italiana.

E non solo a livello nazionale, ma anche una particolare ed unica eccellenza artigiana del territorio volpianese: quella delle biciclette “costruite a regola d’arte” da Gios. E non solo l’artiere Gios è presente, ma anche la SMAT che ha lanciato nello spazio il nome di Volpiano attraverso la collaborazione di Thales Alenia Space, un progetto di “acqua di volo” potabile per l’utilizzo sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS).

Non si può, e non si deve, raccontare la mostra; il nostro scopo è quello di suscitare il desiderio della visita che abbraccia non solo l’industrializzazione del nostro Paese, ma anche i cambiamenti culturali, le difficoltà nelle e delle due guerre mondiali, le lotte operaie: percorsi tematici che affrontano l’Italia delle città, campagne, scuola, chiesa, migrazioni, Prima Guerra Mondiale, Seconda Guerra Mondiale, partecipazione politica, mafie, fabbriche, consumi, trasporti, mezzi di comunicazione di massa.

Marina e Luciano

2 Commenti a “La magia delle OGR: architettura d’autore e capolavoro dell’architettura industriale piemontese.”

  1. Loris scrive:

    Questo a chi dice che i Torinesi sono “bugia nen” , abituati a inventare e a fare , per poi vedersi portar via il manufatto (come al solito ) .
    Ottimo articolo , anche se arrivo da Barriera di Milano (un pò più periferia rispetto a Borgo San Paolo , ma altrettanto “colorata” , sic!) , non posso ignorare quel buon sentimento di cose semplici e “mature” che si respirava (ahime!) nell’aria dei vecchi borghi di Torino.

  2. Piera Camoletto scrive:

    E’ sempre bello e interessante leggere un pezzo di storia che ci riguarda così da vicino.

    Grazie Piera.

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